-di Marco Chitti* –
Il Servizio Ferroviario Metropolitano di Bologna è un eterno mantra della pianificazione dei trasporti bolognese da più di tre decenni. Concepito cavallo degli anni ’80 e ’90, è ancora oggi, trent’anni più tardi, impantanato in un lento percorso di implementazione parziale, caratterizzato da stop and go, tentennamenti e continui rinvii. Ciò nonostante, questo eterno Godot della mobilità bolognese, non è rimasto immobile: vi è stato un lento miglioramento dell’offerta e del servizio ferroviario che gravita sul nodo bolognese, sebbene con luci ed ombre. Nonostante oggi si sia ancora lontani da quello scenario di base immaginato quasi trent’anni fa per una S-Bahn felsinea, i dati di traffico dell’ultimo decennio ci permettono di elaborare alcune analisi interessanti e fare alcune considerazioni sui limiti e le opportunità di un SFM fotografato “a metà del guado”.
La storia di un eterno Godot
L’idea di dotare la città metropolitana di Bologna di un Servizio Ferroviario Metropolitano sul modello delle S-Bahn tedesche e svizzere fa capolino nella pianificazione regionale (PRIT 1986) e provinciale (PITB 1985) a partire dagli anni ‘80, quando si comincia a discutere della riorganizzazione del nodo ferroviario bolognese in vista della realizzazione della dorsale ad Alta Velocità tra Napoli e Torino. La necessità di un moderno servizio ferroviario cadenzato tra il capoluogo e il suo hinterland cerca di rispondere a dinamiche di mobilità pendolare in crescita, accentuate dalla suburbanizzazione di residenza e di poli attrattori che si manifesta già a partire degli anni ’70 e accelera nei decenni successivi. I primi timidi passi verso il SFM vengono fatti inizialmente già alla fine degli ’80 con il progetto delle “suburbane”: grazie ai fondi per la modernizzazione delle ferrovie ex-concesse (ex L.910/1986) di proprietà regionale vengono realizzate alcune nuove fermate urbane low cost e interrata una breve porzione del tratto cittadino della ferrovia Bologna-Portomaggiore; inoltre, viene dato avvio ai lavori di riattivazione e connessione alla rete nazionale della linea Bologna-Vignola, chiusa al traffico passeggeri dal 1967.
Il primo vero passo concreto per un disegno globale del SFM arriva nel 1994, con la firma d’un protocollo di intesa (Prima parte e Seconda parte) tra quelli che sono ancora oggi, al netto dei mutamenti istituzionali e di denominazione, i principali attori del progetto: da un lato le amministrazioni locali, cioè comune, provincia e regione, dall’altro le Ferrovie dello Stato e il Ministero dei Trasporti. Questo primo protocollo d’intesa definisce i livelli di servizio e il modello di esercizio del progetto SFM, cioè un cadenzamento a 15’-30’-60’ in funzione della distanza dal capoluogo, relazioni passanti per Bologna Centrale e servizi in “appuntamento” tra le linee SFM stesse a Bologna centrale e nelle “stazioni di porta” (San Vitale e Prati di Caprara) e tra queste e i servizi su gomma di adduzione nei nodi suburbani, secondo il cosiddetto principio del takt, mutuato dal modello svizzero, anche chiamato rendez-vous o pulse. Il protocollo prevede anche la realizzazione di nuove fermate in ambito urbano e metropolitano per migliorare la capillarità e l’interscambio.
Nel 1997, un primo accordo attuativo che coinvolge anche TAV Spa, il soggetto attuatore del progetto dell’Alta velocità ora disciolto, definisce più nel dettaglio il modello di esercizio del SFM, le necessità infrastrutturali e un’identità architettonica per le nuove stazioni e delinea un quadro temporale per l’attuazione con uno scenario intermedio ed uno a regime. Questi scenari sono subordinati alla realizzazione di una serie di interventi infrastrutturali legati al riordino del nodo bolognese: la separazione del traffico a lunga percorrenza da quello metropolitano su parte delle direttrici più trafficate, grazie alla realizzazione del passante e delle linee AV, il completamento del raddoppio della Bologna-Verona, la soppressione di passaggi a livello su alcune direttrici ad alto traffico, la riattivazione della Bologna-Vignola con innesto sulla porrettana e l’elettrificazione della Bologna-Portomaggiore.
Un ulteriore accordo quadro nel 2007 definisce ancora una volta un percorso attuativo per la progressiva messa in opera del SFM: “servizi” minimi da attuare una volta conclusi i lavori del nodo, uno scenario “base” con cadenzamenti a 15’ nelle tratte urbane sovrapposte, a 30’ nelle tratte periurbane e 60’ nelle tratte più esterne delle linee, in una fascia oraria ridotta dalle 6 alle 21, ottenuti con una commistione di servizi indifferenziati “corti” (regionali operanti esclusivamente su relazioni SFM) e “lunghi” (cioè regionali di lungo raggio che effettuano anche le fermate metropolitane). L’accordo riporta anche uno scenario “potenziato” che prevede una effettiva e totale specializzazione dei servizi metropolitani “corti”, con regolare cadenzamenti a 30’-60’ su tutte le linee e servizio ridotto (cadenzamento a ’60) serale tra le 21 e le 24. Nel 2007 si prevede un’attivazione parziale delle linee passanti per il 2011 e un’attivazione completa nel 2012 in concomitanza con il completamento della riorganizzazione del nodo. Infine, un ulteriore accordo attuativo nel 2014 lascia cadere l’ipotesi della S6 a servizio del polo fieristico e inserisce con alcune modifiche il SFM nell’ambito della più ampia riorganizzazione del Servizio Ferroviario Regionale (SFR) orientato verso un modello di relazioni fisse e cadenzate organizzate su due/tre livelli di servizio (S nel bacino del capoluogo, R, RV) già sperimentato con successo in Lombardia e a sua volta mutuato dal mondo germanofono.
Questa è solo una sintetica e incompleta ricostruzione delle principali tappe istituzionali di sviluppo del SFM bolognese, una vicenda assai complessa e che coinvolge numerosi attori, con fonti di finanziamento discontinue e legate spesso a vari progetti concomitanti. Il progetto SFM ha visto quindi una lenta e assai parziale attuazione con numerosi rinvii ed aggiustamenti in corso d’opera nei 27 anni trascorsi dal primo accordo di programma. Ad oggi, i servizi cadenzati sono ancora una realtà limitata e incompleta e i servizi passanti quasi inesistenti (solo alcune corse sulla relazione S4 “corta” Imola-San Pietro in Casale-Ferrara). Questi sono resi più complessi da una crescita “inattesa” del traffico a lunga percorrenza a mercato su alcune direttrici a traffico misto, in particolare l’Adriatica e la Bologna-Padova, oltre che da ritardi nella riorganizzazione infrastrutturale del nodo: la bretella tra il passante AV e la Bologna-Padova ha aperto solo nel 2016 e i binari “alti” di Bologna Centrale attendono ancora il ripristino, oltre al grande nodo irrisolto della riorganizzazione degli itinerari in ingresso alla stazione Centrale. Inoltre, alcune stazioni in ambito urbano, tra cui la “stazione porta” ovest a Prati di Caprara non sono ancora state realizzate, a causa di un iter di finanziamento che si è intessuto con le complesse vicende dei progetti di mobilità bolognese dell’ultimo trentennio. Infine, la riconoscibilità del servizio per l’utenza, è ad uno stato primordiale e, ad oggi, si può dire essenzialmente che il SFM è ancora più che altro un principio di pianificazione del traffico ferroviario locale piuttosto che un servizio riconoscibile per il pubblico. Manca, per esempio, la denominazione ufficiale dei servizi S negli orari, nei tabelloni elettronici e negli annunci, dove ancora compaiono come generici treni “regionali”, a differenza di quanto avviene a Milano.
Tuttavia, questo non significa che non sia successo nulla in questi anni. Un’analisi dell’andamento del traffico tra il 2010 e il 2019, effettuata a partire dai dati raccolti dai gestori (FER et TI) per conto della regione Emilia-Romagna, mostra un ritratto a luci ed ombre di un progetto che si trova oggi a metà del guado, con alcune storie di successo e una serie di criticità che derivano in parte dalla sua incompleta attuazione e, in parte, da dinamiche demografiche e insediative di lungo periodo cui il progetto del SFM deve potersi adattare al meglio.
Dieci anni di traffico: successi e limiti dell’ibrido attuale
Cosa ci dicono i numeri?
Partiamo dal dato più generale: il numero dei passeggeri giornalieri (dei “saliti” in gergo tecnico) nelle stazioni del bacino del SFM è aumentato dai circa 72.250 del 2010 agli 84.400 del 2019, ultimo anno per cui sono disponibili i dati e anche ultimo anno “pre-pandemico”. Si tratta di un aumento di circa il 17%. Questi dati includono anche i passeggeri saliti sui treni regionali veloci e sui treni regionali con destinazione al di fuori del bacino SFM e che costituiscono una quota importante di traffico sulle linee verso Ferrara, Rimini, Piacenza e, in minor misura, Verona. Se ci limitiamo ai soli treni regionali che gravitano sul bacino SFM, il traffico propriamente SFM è stimabile al 2020 in 53-55.000 passeggeri giornalieri.
Tuttavia, questa crescita non è uniforme su tutte le semi-linee S e varia da un minimo del 10% sulla S1A a un massimo del 114 % sulla S2A. Proprio su queste due semi-linee abbiamo concentrato l’analisi dei dati di traffico per cercare di capire come e perché l’utenza è cambiata nell’ultimo decennio. Abbiamo poi approfondito le dinamiche di traffico nelle stazioni più centrali del nodo urbano per capire come (e se) l’ipotesi del SFM come “metropolitana di superficie”, frequentemente ventilata a torto e a traverso nel dibattito pubblico, sia un’ipotesi praticabile e con quali potenziali e limiti.
Prima di scendere nel dettaglio dei numeri, una piccola nota di metodo: questi dati, e in generale tutti quelli usati in questa analisi, si riferiscono al cosiddetto “giorno feriale medio” e sono ricavati da conteggi manuali effettuati dal personale di bordo di FER et TI in due periodi di nove giorni (due fine settimana e una settimana lavorativa) a novembre e a luglio di ogni anno. I dati di novembre, dove è presente anche l’utenza scolastica, sono normalmente superiori e sono quindi utilizzati come approssimazione della frequentazione feriale “tipica” in questa analisi. Ovviamente, nella realtà, vi sono fluttuazioni stagionali e picchi verso l’alto o il basso legati a singoli eventi che sarebbero rilevabili solo con un conteggio automatizzato e in tempo reale, ad oggi non possibile.
Un grande successo: la Bologna-Vignola (S2A)
La S2A è forse la storia di maggior successo del SFM. La linea Bologna-Vignola nasce alla fine dell’Ottocento come tranvia interurbana a vapore. Viene completamente riscostruita con standard di ferrovia vicinale elettrica negli anni ’30, con attestamento a Casalecchio di Reno, per poi essere chiusa al traffico passeggeri sul finire degli anni ‘60. Grazie a circa 50 milioni di euro stanziati dalla legge 910/1986, il traffico sulla linea viene finalmente ripristinato tra il 2003 (fino a Bazzano) e il 2004 (fino a Vignola) con un cadenzamento iniziale all’ora e 15 coppie/giorno. Dopo un primo periodo di traffico stabile o in lieve crescita in concomitanza di un aumento del servizio nel 2008 (introduzione di cinque rinforzi alla mezz’ora limitati a Bazzano), il traffico mostra una tendenza in aumento costante a partire dal 2011, nonostante un miglioramento marginale dell’offerta da 20 a 24 coppie/giorno, che resta però ancora molto lontana dalle 36 previste dal modello d’esercizio a regime del SFM (cadenzamento alla mezz’ora per tutto il giorno, dalle 5 alle 24). Questa tendenza si mantiene nonostante l’allungamento dei tempi di percorrenza nel 2016 dovuto alle nuove normative ANSF per le ferrovie locali interconnesse a seguito dell’incidente di Corato. L’attivazione della trazione elettrica nel 2012 con l’inserimento in esercizio di nuovi elettrotreni Flirt, l’istituzione della nuova tariffa integrata “Mi-Muovo” a partire dal 2013 a livello regionale e l’avvio di una sperimentazione di integrazione bus+treno ad hoc nella tratta urbana hanno possibilmente giocato un ruolo di traino, nell’ambito di una tendenza di fondo al rialzo nell’uso del mezzo pubblico osservata in tutto il bacino bolognese.
Interessante è notare come l’aumento notevole (+114%) della frequentazione negli ultimi 10 anni (periodo per cui si hanno dati più dettagliati e disaggregati per treni e stazioni) sia ugualmente distribuito in tutte le stazioni della linea con punte di crescita nell’ambito più urbano (Borgo Panigale, Casteldebole e Casalecchio Garibaldi) e in alcune stazioni dei centri maggiori, come Vignola e Crespellano.
L’analisi dettagliata della frequentazione rilevata da FER, gestore della linea fino al 2019, mostra come la crescita sia avvenuta per tutti i treni e in tutte le fasce della giornata in maniera proporzionale, nonostante un livello di servizio sostanzialmente stabile. I dati evidenziano inoltre pattern di pendolarismo lavorativo e scolastico sia in direzione del capoluogo, fenomeno più tipico, che in direzione opposta, per esempio verso i poli scolastici presenti attorno alla fermata di Casalecchio Garibaldi, come evidenzia il picco di carico nelle due direzioni nella fascia 13-15, tipica del rientro scolastico (orario di uscita dalle scuole medie inferiori e superiori). Altro fenomeno interessante, in linea con dinamiche riscontrate un po’ ovunque in Italia nell’ultimo ventennio, è la grande dilatazione dell’ora di punta pomeridiana (mentre invece quella mattutina rimane più concentrata), al punto che si può quasi parlare di un’unica lunga punta pomeridiana dalle 13 alle 20.
La linea S2A sconta ancora un’offerta insufficiente e una velocità commerciale estremamente bassa per una ferrovia suburbana (34 km/h), soprattutto in ragione delle stazioni molto ravvicinate nel tratto suburbano lungo la via Bazzanese e alle limitazioni di velocità imposte dal tracciato e dal segnalamento e a problemi di fondo nella gestione dell’orario di cui parleremo più avanti. Al netto degli effetti della pandemia da COVID-19 sulle abitudini di mobilità future, che sono difficili da stimare oggi, la linea ha ancora un notevole potenziale di crescita e di miglioramento dell’offerta, soprattutto in un’ottica di integrazione futura con la costruenda rete tranviaria bolognese, nel caso si volesse seriamente esplorare l’ipotesi di servizi tram-treno che ben si adattano ai pattern insediativi lungo questa direttrice, in particolare vista la presenza di importanti attrattori (la più ampia area commerciale della città metropolitana, un palazzetto dello sport, alcune scuole superiori) ed una popolazione in crescita nel tratto più periurbano fino a Zola Predosa.
Una linea matura: la Bologna-Porretta (S1B)
Un caso antitetico al precedente è quello sella linea S1B tra Bologna Centrale e Porretta Terme, che ha visto una crescita minima (+10%) dell’utenza nell’ultimo decennio e al di sotto della media del SFM, ma partendo da livelli di traffico e di servizio tra i più elevati di tutte le altre linee. La linea Porrettana che collega Bologna a Pistoia è il più antico valico ferroviario appenninico lungo la dorsale Nord-Sud (è stata aperta al traffico nel 1864) ed ha avuto una rilevanza nazionale fino all’apertura della direttissima Bologna-Firenze negli anni ’30, quando fu relegata al ruolo di ferrovia per traffici prevalentemente locali. L’evoluzione dell’orario alla stazione di Marzabotto (dir. Bologna) mostra come la linea svolgesse essenzialmente una funzione locale nel dopoguerra con un traffico estremamente ridotto e non cadenzato, tipico delle ferrovie locali in gran parte d’Italia. Si passa da 5 coppie/giorno nel 1951, con una lenta crescita fino a 14 coppie/giorno nel 1984. Ma già dagli anni ’90 viene introdotto un servizio cadenzato all’ora: 17 coppie/giorno nel 1994, che viene successivamente portato nella tratta bassa a un cadenzamento parziale alla mezz’ora nel 2010, per un totale di 29 coppie/giorno, un livello di servizio pari all’80% dello scenario SFM base previsto nel 1997 e ribadito negli accordi del 2007 (32-36 coppie/giorno) nella tratta bassa. Questo fa della S1A la linea che da più tempo offre un livello di servizio prossimo a quello immaginato nei documenti di pianificazione e nei vari accordi istituzionali.
In questo contesto di servizio relativamente buono, ma stabile nell’ultimo decennio, la S1A è stata caratterizzata da una dinamica di traffico contrastante: il numero di passeggeri è cresciuto in quasi tutte le stazioni della tratta bassa (quella con servizio, seppur incompleto, a cadenza di mezz’ora), mentre in tutte le stazioni della tratta alta (oltre Marzabotto) si registra una contrazione dell’utenza più o meno pronunciata, con una punta di -28 % a Porretta Terme, stazione terminale della linea dove afferiscono numerose linee di autobus in adduzione dai centri abitati dell’alto bacino montano. Che cosa può spiegare questo contrasto nell’evoluzione del traffico?
Una chiave di lettura: la tendenza demografica di fondo
Il calo di frequentazione nella parte alta della Porrettana può essere ascritto a molte cause, tra cui una certa irregolarità del servizio, caratterizzato da frequenti ritardi, cancellazioni e da un materiale rotabile vetusto, almeno fino all’introduzione dei nuovi elettrotreni Rock e Pop nel 2020. Tuttavia, probabilmente, è lecito fare l’ipotesi che le dinamiche demografiche interne alla città metropolitana abbiano giocato anch’esse un ruolo di primo piano. Attorno al 2010, si è assistito all’esaurimento di una tendenza alla crescita dei comuni appenninici del bacino bolognese che era cominciata negli anni ’80 e si era accentuata negli anni ’90 in un contesto di progressiva suburbanizzazione della residenza verso comuni sempre più lontani dal capoluogo. Questa crescita importante di popolazione nei comuni montani metropolitani era, di per sé, in controtendenza con l’ormai consolidato trend postbellico di spopolamento delle zone appenniniche più marginali, e beneficiava dell’effetto di traino di un capoluogo dall’economia dinamica, di una relativa facilità di pendolarismo lungo le valli grazie ad una dotazione infrastrutturale (ferrovie, autostrada) notevolmente più elevata della media dei territori appenninici. Inoltre, questa crescita era costituita soprattutto da famiglie con figli in età scolare e da una quota relativamente elevata di immigrati attratti da affitti molto più bassi della media a fronte di un buon livello di servizi locali, frutto di una politica di policentrismo territoriale di lungo corso.
Con l’esaurimento di questo ciclo ed un ritorno della crescita nelle zone più centrali dell’area metropolitana, incluso il capoluogo, la tendenza demografica è ora caratterizzata da uno spopolamento rapido e da un invecchiamento marcato del profilo demografico dell’alta valle del Reno, che costituisce il bacino di riferimento della linea S1A, con un calo globale del 3,3 % e punte del 13,4 % a fronte di una crescita globale della città metropolitana del 3 %. La fine di questo ciclo demografico, che si iscrive in una più generale crisi demografica italiana di cui troppo poco si parla, ha con ogni probabilità contribuito alla contrazione nell’uso del treno, visto che la popolazione più mobile e più assidua utente del TPL (lavoratori giovani e studenti superiori e universitari) ha subito una drastica contrazione nell’alto appennino. Per contrasto, nella parte bassa del bacino si assiste ancora a una crescita importante della popolazione (+3,6%), in linea con quella globale dell’area metropolitana, e a una concomitante crescita dell’utenza ferroviaria.
- Per un’analisi dettagliata delle tendenze demografiche di lungo periodo dell’appennino bolognese si consiglia la lettura del “Rapporto Appennino 2019” della Città Metropolitana di Bologna.
Se confrontiamo queste dinamiche demografiche con quello che è accaduto negli stessi anni nel bacino pedemontano che gravita sulla ferrovia Bologna-Vignola (S2A), la succes story del SFM presentata precedentemente, vediamo chiaramente lungo quest’ultima una crescita generalizzata della popolazione residente, in linea con la tendenza di fondo della città metropolitana e concentrata soprattutto nei comuni che più hanno contribuito alla crescita dell’utenza: Vignola, la Valsamoggia (Bazzano e Crespellano), Zola Predosa. Sebbene non esista un nesso diretto di causa-effetto tra le dinamiche demografiche e l’uso del TPL, che dipende principalmente dalla qualità ed usabilità del servizio e da un complesso set di fattori esogeni, questa demografia favorevole ha senz’altro contribuito a sostenere dinamiche molto positive nell’uso del treno.
La funzione urbana del SFM: un potenziale parzialmente ancora inespresso
La definizione “metropolitana di superficie” viene frequentemente adottata nei media e nel discorso pubblico per definire il potenziale del servizio ferroviario in ambito urbano come servizio su ferro frequente paragonabile a quello di una metropolitana. Sebbene il SFM possa certamente svolgere un’importante funzione ausiliaria di mobilità rapida all’interno del cuore dell’area metropolitana, questa funzione risente di limiti in parte sormontabili con un cambiamento della natura del servizio e delle pratiche di esercizio, ma in parte dovuti a modelli insediativi difficilmente mutabili in tempi brevi.
I tre principali ostacoli a un uso urbano del SFM sono la sua collocazione geografica, la frequenza e il modello di esercizio attuale caratterizzato da basse velocità commerciali nell’ambito urbano e relazioni non passanti. Sul primo aspetto si può fare ben poco nel breve periodo: com’è tipico in Italia, e a differenza del Giappone, di parte del mondo anglosassone e di quello tedesco, a Bologna si è avuto uno sviluppo urbano essenzialmente slegato dalle direttrici ferroviarie nazionali e più ancorato alle tradizionali direttrici viarie radiali, una su tutte la via Emilia, e aggregato attorno ai nuclei urbani storici piuttosto che alle stazioni ferroviarie. Per questo la ferrovia risulta oggi spesso “eccentrica” rispetto agli attrattori di traffico e alla geografia insediativa. Al netto di un riequilibrio della futura crescita attorno ai nodi del servizio ferroviario, già previsto dagli strumenti urbanistici metropolitani da lungo tempo, la realizzazione di nuovi tracciati per avvicinare la ferrovia alle direttrici di sviluppo tradizionali necessiterebbe di costosissimi, e probabilmente ingiustificati, interventi infrastrutturali pesanti.
La frequenza è invece un aspetto su cui si può, e si deve, intervenire nel breve periodo. L’analisi dell’evoluzione dei volumi di traffico nelle stazioni del SFM situate all’interno dell’area urbana centrale (ovvero i comuni di Bologna, San Lazzaro di Savena e Casalecchio di Reno), mostra come il tratto occidentale comune alle linee S1A e S2A abbia visto una crescita molto più accentuata dell’utenza a fronte di un servizio più frequente e appetibile.
I numeri mostrano in maniera evidente la disparità di performance tra le stazioni situate ad ovest, che hanno visto un aumento importante dell’utenza e risultano tra le più frequentate dell’intero sistema, e quelle ad est. A ovest, la sovrapposizione di due relazioni (S1A ed S2A) cadenzate all’ora e con numerosi rinforzi alla mezz’ora (vedi orario della stazione Casalecchio Garibaldi in direzione Bologna Centrale), permette di avere un servizio suburbano con attese relativamente basse (da 10’ minimo a 33’ massimo in alcune ore di morbida) e quindi con tempi di viaggio complessivi (includendo cioè l’attesa media e non solo i tempi di percorso) concorrenziali con il trasporto su gomma. Il risultato è un aumento sostanziale del traffico a Casalecchio Garibaldi tra il 2009 e il 2019, in particolare al di fuori delle ore di punta, con un uso del treno costante distribuito lungo il corso di tutta la giornata, sia in direzione di Bologna Centrale che verso l’esterno dell’area metropolitana. Questo evidenzia il diffondersi di un uso più flessibile del SFM in questo ambito, più aperto agli spostamenti occasionali e meno legato al semplice soddisfacimento della domanda pendolare per scuola e lavoro, i cosiddetti spostamenti sistematici.
A est, nonostante la collocazione più “urbana” delle fermate poste lungo la direttissima Bologna-Firenze, le frequenze relativamente basse sulla linea S1B rendono l’opzione ferroviaria meno appetibile rispetto alle frequenti linee urbane che servono lo stesso bacino. Ad esempio, si veda l’orario alla stazione Mazzini in direzione Bologna Centrale, che ha solo recentemente potuto fruire di un servizio cadenzato all’ora con rinforzi alla mezz’ora, ma è ancora molto irregolare e deficitario rispetto a quello della stazione di Casalecchio Garibaldi.
Il risultato è una frequentazione stagnante e ben al di sotto del potenziale bacino di utenza urbano, con la sola eccezione di Bologna San Vitale, inaugurata tra il 2013 (S4B) e il 2015 (S1B), dove la sovrapposizione di due linee e un primo timido tentativo di mettere in pratica il principio di coincidenze ad appuntamento nelle relazioni Imola <-> San Benedetto Val di Sambro che evitano Bologna Centrale hanno portato ad una crescita rapida della frequentazione fino a circa 400 saliti per giorno feriale medio in pochi anni.
Infine, l’assenza di servizi passanti e un sistema di appuntamento tra linee nelle stazioni di nodo ancora embrionale e inaffidabile rendono poi assolutamente non concorrenziale l’uso del treno per spostamenti a carattere urbano con origini e destinazioni che oltrepassino il nodo della Stazione centrale, ovvero quelle periferia-periferia su cui il SFM potrebbe giocare un ruolo fondamentale di servizio urbano “celere” in sinergia con la futura rete tranviaria e filoviaria.
Una velocità commerciale troppo bassa
Per quanto riguarda le velocità commerciali, il SFM bolognese si colloca al di sotto delle migliori pratiche internazionali, anche se comunque meglio dei sistemi di tipo commuter rail a trazione diesel tipici nel contesto nordamericano (che però costituiscono un modello di servizio inefficiente e anacronistico). Il rapporto tra interstazione medio e velocità commerciale mostrato nella tabella evidenzia come, a parità di distanza tra le stazioni, le linee dell’SFM siano sempre più lente delle S-Bahn tedesche e del RER parigino, e particolarmente più lente nella tratta urbana.
La ragione di questa bassa performance, che si registra anche nelle linee S milanesi, è legata a più fattori:
- Un materiale rotabile eterogeneo e poco performante in termini di accelerazione, soprattutto prima dell’introduzione dei più recenti elettrotreni Rock e Pop. Ciò porta a prevedere nella costruzione dell’orario perditempo più elevati per ogni fermata.
- Un PRG di stazione dall’impostazione “ottocentesca” (lontana dalle pratiche in uso nei paesi con alte performances, come la Germania, la Svizzera ed il Giappone) contraddistinto dalla mancata specializzazione dei binari di ingresso per linee e per itinerari fissi e che, invece, si contraddistingue per l’uso di complessi scambi e itinerari di ingresso in deviata a 30km/h nell’approccio a Bologna Centrale. Inoltre, le velocità di ingresso sono limitate per ragioni di sicurezza sui binari di testa Est e Ovest usati dalle linee S1A, S2A, S1B ed S2B, che sono ad oggi non passanti.
- Una pratica di programmazione dell’orario poco attenta alla riduzione dei tempi di percorrenza globali, dove la dilatazione delle tracce (cioè il normale allungamento dei tempi di percorrenza previsti in orario necessario a consentire il recupero dei piccoli ritardi e quindi ad avere orari “robusti”) viene concentrato in maniera eccessiva nelle tratte finali di approccio in stazione, anche per evitare artificiosamente le penali previste nei contratti di servizio con la Regione che, ad oggi, sono applicate solo al ritardo in arrivo nella stazione di destinazione ma non a quello lungo il percorso.
Questi problemi, che derivano tanto da limiti infrastrutturali che da una cultura ferroviaria italiana un po’ “ingessata” e poco abituata a gestire le problematiche dei servizi urbani e suburbani, rendono il SFM quale è oggi molto poco appetibile per l’utenza potenziale sulle tratte brevi (< 5-10 km) in contesto urbano, a causa di velocità commerciali troppo basse e all’imposizione di una rottura di carico a Bologna Centrale.
Quale futuro per il SFM?
Quale futuro attende il servizio ferroviario metropolitano? Difficile dirlo senza chiarezza nell’impegno politico degli attori istituzionali coinvolti nel definire e portare avanti i passi necessari per arrivare in tempi certi almeno allo scenario base previsto nel 2007. Bisogna mettere a disposizione più risorse pubbliche per finanziare il servizio aggiuntivo nell’ambito del contratto di servizio con Trenitalia-TPER, anche immaginando fonti di finanziamento stabili legate a politiche di road pricing, come area C a Milano o come la spesso ventilata ma mai concretamente perseguita sovrattassa per gli accessi ai caselli autostradali. Bisogna impegnarsi per portare avanti un ridisegno del nodo della stazione centrale che permetta di istituire, finalmente, i servizi passanti e velocizzi gli itinerari in entrata e in uscita. Serve un cambio copernicano di mentalità nella gestione dell’infrastruttura, nella programmazione dell’orario, nelle pratiche di gestione che ci avvicini ai modelli svizzeri, tedeschi e giapponesi, caratterizzati da una maniacale pianificazione dell’orario e da un’alta produttività del servizio e dell’infrastruttura, che è il modo migliore di massimizzare l’utilità collettiva degli ingenti investimenti pubblici in infrastrutture fatti negli ultimi anni per rendere il SFM possibile.
Il PUMS della città metropolitana, con il suo scenario 15’-15’, sembra voler gettare il cuore oltre l’ostacolo, immaginando già ora, mentre siamo ancora a metà del guado, un assetto futuro del SFM con un servizio ancora più marcatamente urbano su quello che viene chiamato il “passante bolognese”, la U rovesciata costituita dalle linee direttissima e porrettana su cui si innestano la S1 e la S2 con servizi ai 10’-15’. Purtroppo, alcune scelte discutibili sembrano suggerire una certa schizofrenia negli attori pubblici e non lasciano ben sperare per il futuro del SFM. La costosa eliminazione dei passaggi a livello lungo la Bologna-Portomaggiore nel suo tratto urbano, tramite interramento della linea a singolo binario (e con una lunga interruzione del servizio durante i lavori!), rischia di avere effetti deleteri di lunghissimo periodo sull’elasticità di programmazione del servizio nel cuore del nodo bolognese. La scelta di non prevedere un’uscita verso est dalla stazione AV al momento della realizzazione del passante, cosa oggi impossibile a meno di costosissimi interventi su un’infrastruttura esistente, renderà estremamente problematica in futuro una separazione dei flussi locali lenti da quelli veloci in uscita ed ingresso dal nodo verso il corridoio adriatico, separazione che è invece parte integrante degli scenari di pianificazione sin dai tempi del PRIT regionale del 1998.
L’analisi dei dati di traffico di questo ultimo decennio, un periodo difficile caratterizzato da una situazione economica stagnante, mostrano che esiste un importante bacino di utenza potenziale per il SFM, con un’utenza pronta a rispondere positivamente ad ogni passo, anche piccolo, verso un servizio di trasporto collettivo di facile uso, leggibile, affidabile, integrato e quindi competitivo con il mezzo privato. Ben sapendo che un progetto nato ormai trent’anni fa dovrà adattarsi al mutamento delle dinamiche economiche e demografiche di fondo su cui solo minimamente si può agire a livello locale, come lo spopolamento degli appennini, è importante che gli attori e i decisori pubblici colgano questi inequivocabili segnali che i numeri ci inviano come uno sprone positivo a portare a compimento una visione del Servizio Ferroviario Metropolitano che resta ancora valida e attuale, con i necessari aggiustamenti ma senza compromessi sulla visione di fondo.