Condizioni meteorologiche estreme hanno interessato questa mattina la capitale: un fronte freddo in rapida discesa dal Nordeuropa ha interrotto una lunga fase caratterizzata giornate assolate e siccità. Nella nottata si è originata una linea convettiva che dalla costa ha proiettato corpi nuvolosi gonfi di pioggia verso l’entroterra: dalle 6 la città si è svegliata sotto una tempesta di vento e fulmini. Si è trattato di un temporale autorigenerante: una situazione estrema perché invece di evolvere rapidamente da una fase acuta al miglioramento come un comune temporale, la fase di pioggia intensa si prolunga perché il temporale, appunto si autoalimenta, rinvigorendosi invece di scemare, e per di più resta stazionario sul posto. Gli accumuli precipitativi definitivi non sono ancora disponibili ma si parla di 115 mm nella zona Sud e di ben 187 mm nella periferia nord caduti in appena 3 ore: si tratta del 30% della pioggia che cade annualmente in media sulla città. Immaginabili i disagi con il traffico paralizzato per ore. Mai come questa volta però a risentirne sono stati i trasporti con tutte le linee metropolitane e ferroviarie urbane sospese: stazioni invase dall’acqua, centrali di controllo bloccate, segnalamento fuori uso. Se non è giusto accanirsi contro l’Amministrazione vista l’eccezionalità dell’evento non lo è nemmeno tralasciare alcuni elementi che stanno diventando la norma. Dall’inizio dell’anno la pioggia caduta su Roma si è concentrata solo per il 20% in periodi di piogge distribuite nel tempo: l’80% della quantità è caduta in soli 4 eventi intensi, di una durata media di 2 ore circa. Questo trend non è un’eccezione ma sta diventando la norma: un temporale non è certo il segno del cambiamento climatico, ma anni di osservazioni con il medesimo sviluppo costituiscono un indizio. Alla luce di quanto sta accadendo è evidente che è giunto il momento di progettare in maniera diversa: se storicamente per verificare la funzionalità di una fognatura o di un sottovia si utilizzavano valori di riferimento “storici” per le piogge è evidente che oggi ne vadano considerati altri. Questo quando le strutture ci sono: figuriamoci quando non ci sono. Su tutta la linea A tra le scale esterne di accesso alle fermate e i mezzanini con i servizi di stazione non c’é alcun presidio idraulico: nessuna griglia a parte un chiusino che potrebbe essere il tombino di un comune bagno d’abitazione. Nulla a fermare un rivolo d’acqua che arriva dall’esterno: stamattina veri e propri fiumi d’acqua scendevano dalle scale di San Giovanni, invadevano il mezzanino e continuavano a correre giù verso i tunnel passando dall’unico passaggio disponibile, cioé le scale mobili. Acqua ed elettricità non vanno d’accordo: lo sanno bene a Praga, dove ben prima del 2002 (l’anno dell’alluvione della Moldava) le stazioni erano dotate di griglie di captazione e cisterna di raccolta. Realizzare stazioni del metrò in zone depresse può non essere una buona idea: come si è visto bene stamattina a San Giovanni o a Piramide, prima o poi la falda lo scopre e ti viene a trovare. Soprattutto se in città c’é un fiume, come il Tevere a Roma. Forse, invece che risolvere la cosa all’italiana, invoncando calamità, Commissari straordinari e interventi dall’adilà sarebbe più opportuno fare tutta quella serie di piccole opere (come i fognoli e le griglie di drenaggio) che non si sono fatti né in costruzione, né con i vari e costosi progetti di ammodernamento (fasi AMLA 1-2). Come se la pioggia fosse un fatto del tutto imprevisto e remoto. Un’emergenza, appunto.