Il premier Matteo Renzi in una intervista rilasciata a Bruno Vespa per il suo nuovo libro: «Ma prima sistemiamo l’acqua, i depuratori e le bonifiche. Poi potremo costruire quello che diventerà un altro bellissimo simbolo dell’Italia». Per il Ministro dei Trasporti, Graziano Delrio: “C’è convergenza, fissate le priorità”.
– Di Andrea Spinosa –
Il Ponte sullo Stretto di Messina ha una lunga storia: una storia costata già 128 milioni di euro. L’idea e la volontà politica di un attraversamento stabile dello Stretto di Messina è remota, ma è a partire dal 1969 che l’idea assunse un aspetto più concreto a livello politico con il ‘Concorso Internazionale di Idee’. Da allora l’annuncio della realizzazione del Ponte è stato dato diverse volte: dal governo Cossiga, sotto il quale è stata costituita, nel 1981, la Stretto di Messina SpA, società di diritto privato ma a capitale interamente pubblico, incaricata della progettazione, costruzione e gestione del Ponte; dal governo Craxi nel 1985, sotto il quale l’attraversamento stabile fu inserito nel Piano nazionale dei trasporti; dal ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno Claudio Signorile, che prevedeva l’opera realizzata nel 1994; da Romano Prodi, allora presidente dell’IRI, che annunciava la fruibilità del Ponte nel 1996; dal primo e dal secondo governo Berlusconi, che rilanciavano con più determinatezza e con più concretezza la costruzione del Ponte, tanto che nel 2006, in seguito all’aggiudicazione della gara d’appalto, fu firmato il contratto per la costruzione dell’opera con il General contractor Eurolink, guppo di imprese capitanato da Impregilo SpA, e nel 2010 sono iniziati i lavori propedeutici.
Il percorso della realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina è stato, è, e probabilmente sarà sempre, estremamente arduo e problematico: all’inizio per la fattibilità tecnica e ambientale, come dimostrano i vari e attenti studi preliminari all’approvazione definitiva del Progetto; successivamente per i tentativi di infiltrazioni mafiose, come dimostra il tentativo del governo Prodi nel 2007 di annullare il contratto di appalto dei lavori, andando incontro al pagamento di una penale di 500 milioni di euro alle società appaltanti, rischio aggirato dall’allora ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Antonio Di Pietro; oggi per la crisi economica, che fa ritenere che il Ponte sullo Stretto di Messina non rientri tra gli interventi infrastrutturali prioritari.
Il quadro economico dell’opera, secondo l’ultimo progetto, ammonterebbe a 8,5 miliardi di euro.
Prima di fantasticare sulle immagini del Golden Gate di San Francisco, che volutamente abbiamo inserito in questo articolo, diciamo che opere di questo tipo sono sempre state contestate nella loro sostenibilità anche quanto avrebbero avuto un maggiore peso trasportistico di quello di Messina.
La situazione infrastrutturale di Calabria e Sicilia è nota: discutere del Ponte è come se due senza tetto stessero discutendo cosa acquistare davanti ad una vetrina di una gioielleria di Cartier.
Proviamo a pensare cosa di potrebbe fare, nelle piccole opere pubbliche citate da Delrio il giorno del suo insediamento al Ministero, quelle che cambiano la vita quotidiana di tante persone.
22 opere per 1.282 km di lunghezza, 8,1 miliardi di spesa e 569.000 passeggeri giornalieri.
Per i flussi sul Ponte si parla di circa 7/8.000 passeggeri al giorno e 5/600 camion merci. Se economicamente rapportiamo, semplificando, la resa economica di un mezzo pesante a quello di 15 vetture arriviamo ad una stima di 15.000 passeggeri.
Anche considerando un valore economico delle merci di 10 volte superiore lo scarto tra i due scenari sarebbe sempre elevatissimo: la resa di un euro in trasporto pubblico di massa è 41 volte superiore a quella di un euro speso per il Ponte.
Per questo diciamo, una volta per tutte:
Ponte? No grazie.
AGGIUNTA all’articolo ORIGINALE.
Come era da immaginarsi, questo pezzo è stato oggetto di numerose critiche. Si tratta naturalmente di una critica e in quanto tale l’obiettivo non è discriminare tra due o più soluzioni ma ragionare. Le opere confrontate con il Ponte sono per la maggior parte idee non sempre calate a livello progettuale: in mancanza di un riferimento progettuale, si tratta di nostre ipotesi calate su un modello sociodemografico e trasportistico (quello sì, estremamente accurato) della Sicilia. Quanto caricherebbe una seconda linea tranviaria a Messina, trasversale a quella attuale? Ed un sistema tranviario cardo-decumano a Catania con funzione di adduttore alla costruenda linea metropolitana? E, ancora, quanto frutturebbe in termini di passeggeri (l’unità di misura della produttività di un mezzo di trasporto) il potenziamento dei “rami secchi” nel Sud dell’Isola (Agrigento, Ragusa in primis)?
A nostro avviso quello che bisogna rifuggire è la divinizzazione dell’Ingegneria: le opere per quanto grandi siano di per sé non portano alcuna trasformazione dello status quo. Sono effetto e non causa di nulla.
Non è un caso che l’opera più importante in termini di effetti sulla funzionalità del Sistema Italia non sia in costruzione in territorio italiano ma in quello elvetico (AlpTransit, sotto il Gottardo e il Ceneri).
Le difficoltà realizzative di un ponte sospeso con campata centrale di 3.300 metri sono molti: lo stato attuale della tecnica vede ancora un limite fisiologico di 2.000 metri (l’Akashi-Kaikyō Ōhashi, in Giappone, al momento la campata sospesa più lunga del mondo misura 1.991 m).Tutti quelli in costruzione rispettano questo limite: la campata più lunga è quella dell’İzmit Körfez Köprüsü, sul Mar di Marmara in Turchia, di 1.550 metri.
Progetti in giro per il mondo ce ne sono molti oltre quello dello Stretto: in Norvegia il Sulafjorden (4.000 metri) e il Sognebrua sul Sognefjorden (3.700 metri); il Sunda Strait, sullo stretto della Sonda tra Giava e Sumatra (2.980 metri); quello nello stretto di Malacca tra Sumatra e Malaysia (2.600 metri); il ponte sullo Storfjorden, per sostituire il servizio traghetti verso la città di Ålesund (2.300 metri di campata centrale, ancora in Norvegia); il ponte sul Çanakkale, nel Mare di Marmara (2.023 metri, in Turchia).
Ammessa la fattibilità tecnica – seppure con qualche riserva sulla possibilità, allo stato attuale della tecnica, di realizzare torri in calcestruzzo (ferrocemento) alte 330 metri e tesare cavi per una lunghezza doppia rispetto a quanto mai fatto finora – il Ponte dello Stretto di Messina sarebbe comunque un’opera a tempo. Opere di questo tipo vengono realizzate per una vita media di almeno 100 anni: la velocità di allontamento trasversale delle due coste portebbe dopo 50 anni ad uno scarto rispetto all’anno zero di realizzazione dell’opera di quasi 20 centimetri.
Durante il terremoto del 1908 le coste della Sicilia e della Calabria, improvissamente libere di muoversi, si allontanarono di colpo di 70 centimetri. Contemporaneamente , grazie a una ricerca condotta dall’istituto geografico militare italiano nel 1909, si scropri che la costa calabrese sprofondò di 55 centimetri rispetto al livello del mare, mentre quella siciliana arrivò a meno 75 centimetri.
Studi successivi evidenziarono come la notevole subsidenza, ossia lo sprofondamento del suolo, sia interpretabile per mezzo di una faglia normale o un sistema a doppia faglia che scorre parallelo all’asse dello stretto. Alcuni importanti sismologi ipotizzano per l’evento del 1908 un meccanismo di rottura secondo un sistema sismogenetico costituito da due faglie disposte in una struttura a Graben al di sotto dello stretto.
Certo è che l’evento del 1908 non può essere preso come fisiologico della norma tettonica della zona. Ancora oggi la questione che ritiene il sisma del 1908 come caratteristico dell’area dello stretto rimane ancora aperta.
Molti studiosi sono titubanti nell’applicare la teoria del terremoto caratteristico in una zona dove è presente una complessa situazione tettonica.
Addirittura ancora oggi, nel 2008 a 100 anni esatti dal drammatico sisma, non è stata individuata con certezza la faglia generatrice dell’immane terremoto del 1908.
Nello stretto sono presenti diverse faglie distensive che per la loro modesta lunghezza, inferiore ai 10 km, non possono essere candidate per l’evento del 28 Dicembre 1908, al massimo possono generare eventi sismici di moderata energia , come quello del 16 Gennaio 1975 che ebbe un potenziale di 4.7 di magnitudo, il più forte sisma che ha colpito lo stretto dopo il 1908.
Secondo la teoria del terremoto caratteristico è possibile che al di sotto dello stretto, a circa 6-10 km di profondità, agisca una faglia cieca che di tanto in tanto scarica tutta l’energia accumulata dal movimento delle placche crostali in un sisma di forte magnitudo con un tempo di ritorno di circa 1000 anni.
Purtroppo non abbiamo dati sufficenti che possano confermare tale teoria del terremoto caratteristico, proprio per questo non possiamo ritenere con certezza che il sisma del 1908 sia caratteristico dell’area dello stretto.
Quello che ci preme di più sottolineare sono gli aspetti trasportistici. La presenza di una continuità territoriale non è di per sé indice di maggiore vivacità economica: si guardi a Maltache ogni anno movimenta 2,8 milioni di TEU (7,4 TEU/abitante) contro i 12,1 (0,19 TEU/abitante) dell’Italia.
L’Øresund, tra Danimarca e Svezia, ha avuto un ritorno economico di 2 miliardi di euro (4 miliardi di costruzione) nel periodo 2000-2010 (corrispondente ad un tasso di rendimento economico del 9%). Altre fonti sono più caute: certo è che si calcolano gli effetti dell’opera sull’economica di due Nazioni. Due Nazioni-Ponte tra la parte centrale del continente europeo (Germania in primis) e la Scandinavia tutta.
Gli effetti sull’area metropolitana dello Stretto (3,1 milioni di abitanti tra Copenhagen e Malmö) sono appena il 5% della bilancia commerciale del Ponte. Giova ricordare che, nel caso italiano, la somma delle provincia di Messina e Reggio Calabria è di 1,2 milioni di abitanti mentre le due città insieme non superano i 450 mila abitanti come area urbana vasta. Appena il 17% della popolazione di Copenhagen e Malmö.
Nemmeno il retroterra industriale (o hinterland) è lo stesso visto che la Skania è la regione storica più industrializzata della Svezia (ed una delle più vivaci economicamente parlando di tutta Europa): 35.823 euro di PIL/procapite contro i 33.500 euro della nostra Lombardia.
La Sicilia, tra le regioni italiane, è quella che genera meno flussi passeggeri verso l’esterno: si potrebbe obiettare che questo è funzione dell’insularità ma la Sardegna, per esempio, di per sé ancora più isolata è quella con i maggiori spostamenti esterni per abitante. Resta un luogo soggetto invece a forte migrazione interregionale.
Ma la Sicilia è anche l’unica ad ospitare ben 5 aeroporti, di cui 2 (Catania e Palermo) tra i primi 10 del Paese e tra i più importanti a livello europeo. Se gli spostamenti passeggeri hanno come origine/destinazione il Nord del Paese e le aree metropolitane di Milano e Roma l’attrattività del Ponte resta relativa rispetto alla competitività del vettore aereo. Anche alla luce del fatto che sia Catania che Palermo avranno i propri scali connessi direttamente alla rete ferroviaria e a quella metropolitana.
Ma ci sono le merci. L’Italia è agli ultimi posti in Europa per merci trasportate su treno: la dismissione degli scali – prima quelli secondari e poi quelli principali – fa venir meno quello che dovrebbe facilitare lo split modale dei container sul treno. Treno che avrebbe comunque maggiore velocità e capacità, soprattutto, per realizzare l’agognato corridoio europeo Palermo-Roma-Milano-Berlino-Scandinavia.
Resta la strada, al solito. L’economia siciliana, nonostante tutto, mostra segni di resilienza alla crisi al di là di ogni aspettativa: il fallimento della piattaforma container di Gioia Tauro, che naturalmente si sarebbe potuta connettere alla rete portante del Paese con uno sforzo minimo rispetto al Ponte di Messina, deve però far riflettere circa le vere carenze strutturali del sistema economico italiano (e non solo di quello meridionale).
La Sicilia potrebbe essere il più grande nodo marittimo del mondo vista la sua posizione di cerniera tra l’Europa e l’Africa e, soprattutto, tra l’Europa e il canale di Suez. Lo spostamento delle merci via mare è di gran lunga la modalità economicamente – e non solo – più vantaggiosa: insomma lo sviluppo economico dell’isola prescinde nel modo più assoluto dall’esistenza o meno di un collegamento fisso con la terraferma.
L’Irlanda dimostra che l’insularità non sia pregiudizievole per una vera attrattività economica.
La storia della A3 Salerno-Reggio Calabria dimostra che bisogna rendere il Paese più competitivo partendo dai distretti territoriali senza affidarsi in modo religioso all’azione salvifica delle Grandi Opere.
Per quelle, poi, ci sarà sempre tempo.