Il 19 settembre Addis Abeba ha inaugurato il primo sistema africano chiavi in mano di trasporto di massa.
– Di Andrea Spinosa –
Èvero esistono altri sistemi ma sono localizzati tutti in città del Maghreb e sono frutto delle complesse relazioni ex-coloniali con l’Europa. Cairo, Tunisi, Algeri, Orano, Costantina, Casablanca e Rabat: nessuna città dell’Africa più interna aveva mai intrapreso l’iter per la realizzazione di una infrastruttura di trasporto di massa. Oltre tutto in appena 7 anni per passare dall’idea all’esercizio.
Āddīs Ābabā (dall’aramico, “fiore nuovo”) sorge a 2.407 metri di altezza al centro dell’acrocoro etiopico. Nella città convivono 80 nazionalità e lingue diverse, esempio di convivenza pacifica tra le comunità religiose cristiane, musulmane ed ebraiche. È un comune di 526.9 kmq con 2,816,048 abitanti (stima 1/1/2015): l’area urbana si estende su 1,167.8 kmq e conta 3,103,638 abitanti. La crescita demografica si attesa intorno al 2.30% anno.
La rete è composta da due linee, si estende per 34.2 km e conta 41 fermate. La linea 1 misura 16.9 km in direzione nord-sud e serve piazza Menelik, Merkato, Lideta, Legehar, piazza Meskel, Gotera e Kaliti. La linea 2, 17.4 km in direzione est-ovest, unisce Ayat Village a Tor Hailoch passando da Megenagna, Legehar e piazza Messico. Esiste una sezione centrale comune di 2,7 km tra Lideta e Meskel Square. Il 40% del percorso è in viadotto, la sezione in comune tra le due linee in galleria, il resto a raso. La flotta è di 24 veicoli tramviari da 296 posti. La capacità è di 15.000 posti/ora per direzione con una frequenza di 2 minuti e 40 (25 passaggi/ora) e vetture in doppia composizione.
Il progetto preliminare è di Ethiopian Railways Corporation, proprietario e gestore della rete ferroviaria etiope. RC ha affidato il progetto esecutivo e la realizzazione a China Railway Group Limited, assumendo come validatore e controllore l’italiana Italferr Spa. I lavori sono iniziati nel 2011 quando Export-Import Bank of China aveva assicurato il finanziamento della prima linea e sono terminati in 36 mesi esatti. Il preesercizio si è svolto dal 1° febbraio al 15 settembre 2015.
Il costo chiavi in mano compresa la flotta di 24 mezzi e il deposito di 10 ettari è stato di 475 milioni di US$ pari a 409 milioni di euro: appena 12 milioni di euro al km. Un costo così basso è stato raggiunto sia con una riduzione all’essenziale delle rifiniture e una drastica riduzione del costo del lavoro.
La manodopera, per accordo con il Governo etiope, è stata 50% nazionale e 50% cinese. Per la quota cinese gli operai erano al 70% raccolti dalla popolazione carceraria: la proposta è quella di lavorare all’estero in opere civili in cambio di una riduzione del 30% della pena. It is the red capitalism, baby.
Purtroppo è sulla contrazione oltre ogni limite del salario operario che si sta costruendo la ripresa tanto urlata dai media: il lavoro gratuito è solo l’ultimo di una serie di passi che non sono invenzione del Governo cinese. Ma quello che l’Occidente addita come “regime” non è che lo specchio più chiaro dei memorandum dettati da colonne del capitalismo come il Fondo Monetario Internazionale.
Il giudizio tecnico sul sistema metrotranviario di Addis Abeba è tranchant: brutta, essenziale, senza alcun fronzolo. Eppure funziona, bene, anche con ritmi di esercizio elevati (2 minuti e mezzo la frequenza nelle ore di punta) e carichi altrettanto alti. La scelta di non segregare tutta la linea rende l’esercizio alquanto “caotico”: Addis Abeba ogni giorno concentra 5.257.567 spostamenti con i mezzi più disparati. Il 7%, ad esempio, si svolge con carri a trazione animale: attendere il transito di un mulo magari con un traino sovraccarico non è certo conciliabile con una frequenza tranviaria di 2’. Eppure nella gestione di sistemi urbani caotici l’Europa ha poco da insegnare mentre la Cina ha dimostrato di saper fare di necessità virtù.
Insomma la metropolitana di Addis Abeba non è, a nostro avviso, un caso isolato ma nel bene o nel male il prototipo di un modo di fare le infrastrutture che tra non molto sarà la norma.
Fotografie: Tessema Getahun e Mulugeta Gebrekidan
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