In questi giorni Tft (ferrovie casentinesi) ha avanzato la proposta di ripristino del doppio macchinista: LINK
La decisione di Ansf ha come obiettivo quello di evitare che si ripetano incidenti come quello di Corato, sulla linea Bari-Barletta, lo scorso 12 luglio: LINK
Ansf ha risposto a Tft in maniera affermativa ma solo per un incremento del limite a 70 km/h. L’approccio di Ansf è quello di puntare all’estensione del controllo della marcia tout-court a tutta la rete: a proposito di immissione in linea di treni non attrezzati con sistema di controllo della marcia del trano (Smct) o sistema di supporto alla condotta (Ssc) si faccia riferimento a questa direttiva: https://www.ansf.it/documents/19/39225/dir2_dir_2010.pdf
Il tema della sicurezza è senza dubbio prioritario ma la “cura” proposta da Ansf appare come quella prescritta dal medico che, per evitare di ammalarsi, propone di uscire da casa con la tuta da palombaro. Viene da porsi una domanda: ma all’estero cosa accade? Accade che con sano pragmatismo il passaggio ai circuiti di binario non sia perentorio e graduale: LINK
E che, su reti anche ampie come le ferrovie scozzesi o parte di quelle inglesi, ci siano soluzioni “smart” come il bastone pilota “elettronico”: LINK. Invece che la staffetta che i macchinisti si scambiano per poter accedere ad un tratto di linea a singolo binario c’é un segnale elettronico di via libera.
Insomma, il pragamtismo dovrebbe portare al buon senso: così accade in Germania, dove la sicurezza è comunque garantita senza ambire – direttamente o indirettamente – al “rischio zero”. Basta guardare le linee rosse, nella rete DB Netz, a singolo binario senza circuiti di binario: LINK
Nessuno si sognerebbe mai di chiuderle – perché imporre il passo d’uomo è questo, in fondo – né di progettare l’eliminazione a tappeto di tutti i passaggi a livello imponendo scavalchi o sottovia stradali su tutto il territorio nazionale. In questo caso per evitare la possibilità di collisione accidentale con veicoli o persone si è introdotta la problematica dei sottopassi che, in un Paese dove il 70% del territorio urbanizzato è a rischio idrogeologico, è diventato un problema di manutenzione (stazioni idrovore per mantere i vani liberi dalle acque) e gestione di un nuovo rischio, quello di restare intrappolati nella propria auto in caso di allagamento improvviso. Ed un rischio che negli ultimi 15 anni ha avuto le stesse possibilità di verificarsi rispetto a quello di essere investiti accidentalmente da un treno: dal 2000 al 2015, 43 decessi in 1.546 sottopassi (27,8 per mille); 127 decessi su 4.480 passaggi a livello (28,3 per mille).
Come finirebbero, secondo questo approccio, tante ferrovie svizzere, tedesche o inglesi sia pendolari che turistiche? Un esempio sutti, il trenino rosso della ferrovia Retica che passa davanti al Santuario della Madonna di Tirano (foto in alto).
Eppure anche Tirano è Italia. O forse no.