– di Andrea Spinosa –
Il 5 e 6 ottobre 2022 a Roma, presso la sede del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti si è svolto il IX° Seminario Nazionale Sistema Tram, due giornate di studio dedicate ai “Sistemi a guida vincolata per il tpl e le aree metropolitane”. La call per l’invio di memorie è stata un’occasione per dedicare quasi un anno a una ricerca che, tra le varie attività che seguo, mi ha portato (letteralmente) in giro per il mondo tra biblioteche, amministrazione e operatori di sistemi tranviari.
Condivido con piacere dati e riflessioni per capire tutti insieme se c’è – viste le spinte sulle meravigliose e nemmeno tanto progressive sorti dell’auto a guida autonoma – e quale possa essere il futuro di questa amata (da molti a dire il vero)/odiata (soprattutto da chi ritiene che la mobilità più sostenibile sia solo quella privata) tecnologia di trasporto.
A seguire un percorso in #bricioleditram verso la questione che dovrebbe interessare tutti, siano tecnici che cittadini tutti: esiste un’alternativa ad Autonorama come scivolosa riproposizione della Futurama promossa dall’industria automobilistica negli anni Venti del Novecento che ha portato le nostre città a una situazione tutt’altro che meravigliosa?
1. Quanti sono i tram nel mondo?
Oggi nel mondo ci sono 420 impianti tranviari ripartiti in 57 Paesi. Il Paese con più tram è la Russia: 60 impianti, seguita dalla Germania con 54. Al terzo posto gli USA con 39 seguiti da Francia (29), Cina (21, saranno 24 nel 2023), Giappone (19) e Ucraina (18). L’Italia con 13 impianti è al 9° posto in classifica.
2. Quanti km di binari di tram nel mondo?
Abbiamo visto che ci sono nel mondo 420 città tranviarie in 57 Paesi. Tutte insieme sommano 17.966 km di impianti (il 76% a doppio binario, la parte restante a binario singolo) per un totale di 31.620 km di binari. La Germania guida la classifica con poco meno di 3.800 km di impianti seguita dalla Russia (2.400 km) e dagli USA (1.579 km). Seguono Ucraina (1.328 km), Polonia (931 km) e Francia (841 km) con la Cina a 617 km. L’Italia è all’8° posto in classifica con 439 km. Una curiosità sulla Cina: il vigente 14° Piano Quinquennale fissa per i tram il raggiungimento della soglia dei 1.500 km di impianti al 2026 e dei 4.000 km al 2035.
3. Un passo nella macchina del tempo: quand’é nato il tram?
La parola tram ha origine dall’inglese antico con un’etimologia piuttosto incerta. Diversi studi la fanno risalire al Cinquecento per indicare beam or shaft of a barrow or sledge oppure (1510) a barrow or truck body . In Scozia il vocabolo fa riferimento ai carrelli in legno e metallo usati per trasportare il carbone fuori dalle miniere: l’uso potrebbe derivare dal Medio Fiammingo beam, handle of a barrow, bar, rung e tram avrebbe origine nel dialetto tedesco del Mare del Nord. L’uso come track for a barrow, tramway viene registrato per la prima volta nel 1826. La parola streetcar viene usata per la prima volta nel 1879, abbreviazione di tram-car ovvero car used on a tramway (1873).
In italiano tranvài (o tramvài), s. m., è un adattamento dell’inglese tramway (ora quasi completamente sostituiti, indistintamente per indicare la vettura, da tram, e per indicare la linea, gli impianti, da tranvia): per acchiappare il tramvai, verso sera, fecero un bel tratto di strada a piedi (Verga); dopo pochi minuti di tranvai scesero nel viale (Palazzeschi).
Per avere ben chiaro cosa avverrà dal 1750 in poi, cioè da quando il francese Benjamin Outram (è solo un caso, nessun eponimo) brevettò il carro su binari per facilitare la movimentazione delle terre di scavo derivanti dalla costruzione dei canali di navigazione è necessario fare una fondamentale premessa.
Ora, un’utile metafora: treno e tram sono come il panda e l’orso. Si somigliano e per una parte della storia hanno erroneamente fatto parte dello stesso gruppo tassonomico: ma non hanno nulla in comune fuorché l’aspetto:
- Il treno nasce come ibridazione della macchina a vapore di James Watt e del carro per miniere di Outram: una serie di carri rinforzati che possono trasportare grandissime quantità di merci grazie alle grandi (per il tempo) potenze sviluppate pari a centinaia di cavalli.
- Il tram nasce come trasposizione dell’esperienza dei carri per miniere alle diligenze che soffrivano gli sterrati urbani: il tram non è che una diligenza messa su rotaie in modo da offrire una maggiore capacità di posti e una migliore qualità di viaggio.
4. Il sorpasso del bus sul vecchio tram
Il primo autobus fu brevettato in Inghilterra nel 1821 da Julius Griffith e funzionava a vapore. Proprio la caldaia, ingombrante e pericolosa per l’utilizzo urbano, relegò quest’invenzione ai servizi extraurbani: una falsa partenza in quanto sull’onda del clamore di un grave incidente con 8 decessi – e sulla spinta dei gestori dei servizi ferroviari e del sindacato dei cocchieri – nel 1839 fu approvata una legge che vietava la trazione a vapore al di fuori dei servizi ferroviari. Nelle città il tram è di fatto il servizio di trasporto pubblico con le diligenze relegate al ruolo di taxi.
Saranno due le scoperte che cambieranno le cose: il motore a scoppio (il primo autobus fu il De Dion-Bouton, 1897) e il petrolio (il primo pozzo è quello di Titusville in Pennsylvania, 1859). Queste scoperte si combineranno efficacemente grazie alla spinta di Ford e General Motors: la prima strada asfaltata arriva nel 1852 in Francia e nel 1870 negli Stati Uniti, a Newark; John Boyd Dunlop deposita il brevetto del primo pneumatico nel 1888; Rudolf Diesel brevetta il motore omonimo nel 1892.
La combinazione di motore a scoppio, pneumatici e asfalto troverà la prima applicazione nel trasporto pubblico nel 1928 con i primi servizi Greyhound negli Stati Uniti. Sarà la visione di Futurama a fare il resto: se l’auto privata è il futuro, la transizione dalla mobilità pubblica a quella privata di massa non potrà che avvenire in fiammanti autobus che applicano la stessa tecnologia fordista della model T. I filobus non sono che una breve parentesi tra il ferro e la gomma con motore a scoppio dettata prevalentemente da contingenti misure di risparmio energetico (la GrandeCrisi del 1929 oppure le sanzioni prebelliche verso i Paesi dell’Asse) o un difficile accesso al commercio del petrolio.
Iniziano, nelle Americhe (tutte, basti pensare sia ai quasi 2.500 km percorsi dagli streetcar rossi di Los Angeles che ai quasi 1.000 km di tranvias di Buenos Aires) e in Europa occidentale, lo smantellamento di massa degli sferraglianti e ormai obsoleti tram.
5. In Futurama non c’è posto per il tram
Insomma, la tecnologia sembrava aver sposato inequivocabilmente il binomio petrolio/automobile. Tecnologia che irrompe nell’urbanistica anche grazie alle possibilità offerte dal cemento armato (beton brut): le autostrade urbane in viadotto o galleria. La prima visione del futuro che sarà arriva alla Fiera di New York del 1939: qui General Motors presenta avveniristici diorami e proiezioni stile Metropolis di visioni urbane che mescolano suggestioni di Broadacre City (Frank Lloyd Wright, la città dove ogni cittadino avrebbe avuto un acro di giardino a testa e la city avrebbe concentrato tutte le sue funzioni in pochi grattacieli alti un miglio) e il plan Voisin (Le Corbusier, ovvero la Defense messa nel centro di Parigi).
Fasci di autostrade con decine di corsie avrebbero annullato congestione e incidenti (nel 1920 l’incidentalità stradale negli Stati Uniti era di circa 930 eventi ogni milione di km percorsi, oggi siamo intorno ai 50): i percorsi pedonali sarebbero stati separati proprio come suggeriva Le Corbusier.
Il trasporto pubblico locale lascia spazio al futuro che è inesorabilmente dell’auto: in questa visione non compaiono nemmeno le metro sotterranee ma solo qualche bus nel flusso stradale finalmente decongestionato. Naturalmente nessun orpello impiantistico può fermare l’inesorabile evoluzione tecnologica: figuriamoci binari e fili.
6. La giostra dei tram del Novecento
Dal boom dei tram a fine Ottocento alle dismissioni del secondo dopoguerra fino alla ripresa: un sali-scendi che però non ha riguardato tutto il mondo allo stesso modo…
…una contrazione che però si fa evidente ovunque, se si considera la massima estensione delle reti locali rispetto alla situazione di minima estensione registrata quasi ovunque negli anni Settanta.
7. Futurama 2, dallo spazio la tecnologia per la città del futuro
Visto il successo della prima edizione (1939), General Motors pensa a una seconda edizione di Futurama per promuovere la (propria) visione urbana. È il 1967 e siamo di nuovo alla Fiera di New York: stavolta il futuro arriva – letteralmente – dallo spazio con l’elettronica dei transistor e la possibilità di registrare e trasmettere dati via radio. L’auto del futuro sarà digitale: per la prima volta irrompe anche nel mondo scientifico la guida autonoma: un concetto tecnicamente errato – sarebbe più corretto parlare di automatica in quanto l’auto non pensa da sé ma è guidata da software e hardware alquanto rigidi – ma che inizia a riscuotere molto successo.
Se il dito punta a tanto meravigliose e progressive sorti per la mobilità privata, il resto della mano non vede certo di buon occhio investire risorse nelle reti tranviarie che, vecchie di ormai più di mezzo secolo, avrebbero bisogno di importanti interventi di manutenzione straordinaria (déjà-vu? non è un caso).
D’altro canto, il servizio con autobus diesel è così economico e poi, se proprio ce n’è bisogno ci sono sempre le metro, cioè i treni sotterranei. Insomma, il tram è spacciato: come i panda (ricordate la metafora dei treni-orsi vs. tram-panda?) s’é infilato tecnologicamente in un cul-de-sac evoluzionistico. O forse no, perché dall’altra parte dell’Atlantico è più di preciso in Francia…
8. L’uomo che reinventò il tram
Marcel Cavaillé nasce il 3 febbraio 1927 a L’Isle-sur-Tarn. Ingegnere EDF di formazione e militante del Centro Destra nel 1971 viene eletto senatore per il Dipartimento dell’Haute Garonne. Nel 1974, sotto la presidenza di Valéry Giscard d’Estaing, con Jacques Chirac primo ministro, viene nominato Ministro dei Trasporti: resterà noto per l’introduzione della carte Orange e, soprattutto, per il concorso nazionale che legherà per sempre il suo nome a quello del tram.
Il 27 febbraio 1975, Cavaillé manda una lettera ai sindaci di 8 grandi città francesi: Bordeaux, Grenoble, Nancy, Nizza, Rouen, Strasburgo, Tolone e Tolosa. Chiede di partecipare al processo di riabilitazione nazionale del tram come mezzo di trasporto ingiustamente considerato obsoleto (in Francia il soprannome popolare del tram è schiaccianoci), studiando, ciascuno per la propria città, delle proposte progettuali che permettano di sfruttare al massimo la viabilità attuale e riducendo al minimo, per contro, le opere civili. Nell’agosto 1975 Cavaillé bandisce il concorso aperto ai costruttori francesi per definire le linee di un nuovo prodotto industriale, a metà strada tra il bus e la metropolitana, il tramway français standard, TFS. È il 1975 e nell’esagono il tram è relegato a tre mozziconi: Lille-Roubaix-Tourcoing (1909); linea 68 di Marsiglia (1893) e linea 1 di Saint-Étienne (1881) per meno di 30 km in tutto.
9. Nasce il Tram francese standard
La prima Amministrazione a rispondere alla chiamata di Marcel Cavaillé è Nancy, con un progetto di Personal Rapid Transit (tornato di recente all’attenzione): una monorotaia lunga 10 km a 5 m d’altezza in pieno centro città che non sposa proprio l’esprit del progetto Cavaillé. La prima città francese a vedere il ritorno del tram, anzi l’avvento del tram moderno è una città che per ironia della sorte non era tra le destinatarie dell’invito di Cavaillé: Nantes, nel 1985. Seguono Grenoble, nel 1987, Rouen e Strasburgo, nel 1994.
Lato industria, prima classificata nel concorso è l’idea di Alsthom (oggi Alstom) e Francorail-MTE; seconda la proposta del gruppo Matra, Brugeoise et Nivelles, TCO. Il primo TFS è un articolato a due casse poggianti su due carrelli motore e un carrello portante centrale. La trazione è effettuata da due motori asincroni in corrente continua. Il pianale non è ancora ribassato. I veicoli sono accoppiabili: la terza cassa viene aggiunte a fine anni Novanta, con la crescita della domanda sulla linea 2 di Nantes.
10. Il Rinascimento del tram
Strasburgo, Nantes, Grenoble e Parigi mostreranno l’efficacia del tram come elemento di ristrutturazione e rilancio delle aree urbane: sono gli anni Novanta e i progetti per nuove reti tranviarie si susseguono sia in Europa che in Nordamerica. È la Reinassance del tram che porterà nell’esagono alla realizzazione di quasi 1.000 km di nuovi impianti in trent’anni.
11. Ecco a voi il modello Strasburgo
La prima idea di dotare il capoluogo alsaziano di un sistema di trasporto pubblico in sede propria risale al 1973, nell’ambito dello Schema direttore di sviluppo e d’urbanistica; seguendo l’invito del ministero dei Trasporti a riprendere in considerazione il tram in versione moderna, come soluzione per le città medie francesi (1975), la Cus elaborò un progetto di massima per una prima linea tranviaria sulla direttrice sud, presentato nel 1976 e modificato nel 1979. Fra il 1981 e il 1984 vennero predisposti un progetto più dettagliato, il dossier di inchiesta di utilità pubblica e lo studio di impatto; parallelamente venivano avviati i lavori delle reti tranviarie di Nantes e di Grenoble, rispettivamente attivate nel 1985 e nel 1987.
Il successo riscontrato a Lille con il Val , metropolitana leggera automatica attivata nel 1983, indusse la Cus ad approfondire questa soluzione anche per Strasburgo, in alternativa al tram, soluzione che però si rivelò eccessivamente costosa e ingiustificata per l’entità della domanda della città alsaziana. Nel 1989 la Cus decide quindi di ritornare al progetto tram e affidò alla Cts (azienda dei trasporti pubblici) la concessione della costruzione del tram e dell’esercizio della rete integrata tram più autobus. Il Dossier Tramway, presentato nell’aprile 1990, è un vero e proprio Piano integrato della mobilità, che non si limita a descrivere i progetti inerenti al tram, ma individua interventi integrati sulla viabilità, sui parcheggi, sulla rete degli autobus e sul controllo del traffico e della sosta nel centro, con riferimento a fasi temporali di attuazione dal breve al lungo termine. Le argomentazioni del dossier in favore del tram sono: contenimento dei costi di costruzione; limitazione degli spazi per l’automobile; contestuale operazione di riqualificazione degli spazi urbani; accessibilità garantita dal percorso in superficie con fermate ravvicinate; possibilità di realizzare una rete completa; introduzione di un elemento vitalizzante per la città.
Per la prima fase, comprendente la connessione Hautepierre (nord ovest) – Illkrich (sud), con 26 stazioni (di cui una sotterranea in corrispondenza del sotto-attraversamento del fascio binari della stazione) e 12,7 chilometri (di cui 1,4 in galleria), si prevedeva la messa in servizio commerciale per settembre 1994, scadenza quasi perfettamente rispettata per quanto riguarda i 9,8 chilometri da Hautepierre a Baggersee. La seconda fase, prevista per il 1997, presenta ancora due alternative di tracciato da risolvere. Il costo di costruzione della prima linea viene valutato in 1.940 milioni di franchi (valuta 1990), di cui 412 per il materiale rotabile e 392 per il sottopasso della stazione e altre opere minori. Il finanziamento statale incide per soli 330 milioni di franchi, mentre ammonta a ben 518 milioni la quota ottenuta con il Versamento Trasporti (oggi Versamento Mobilità), una tassa addizionale locale per la mobilità pagata dalle imprese con oltre 9 dipendenti.
A Strasburgo il tram si scopre occasione per un ripensamento degli spazi urbani sia del centro che delle periferie. Era nato il tram moderno: non più un sistema di trasporto ma il frutto di una pianificazione mutuamente integrata dei modi di trasporto dei cittadini e al contempo dello spazio urbano.
12. Quelle eccezioni che confermano la regola
La progressione sviluppo-dismissione-ripresa delle reti tram in Nordamerica, in Europa occidentale e negli ex domini coloniali inglesi e francesi ebbe molte eccezioni come accade per i fenomeni complessi. Eccezioni dettate da molteplici fattori: la prevalenza dei modelli socialisti, per esempio, ebbe un’influenza che si propagò oltre la cortina di ferro che separava il modello capitalista da quello comunista. Basti pensare all’Austria e alla Germania e alla differenza delle scelte dei loro amministratori da quelle di Francia e Italia. Ma anche nella stessa Italia se Roma ridusse la propria rete a un misero 10% circa, Milano e Torino ne conservarono più della metà. Questi chiaroscuri si ripetono anche oggi: a Mosca da almeno un decennio circa si assiste a una montante insofferenza tanto al filobus (la rete più estesa al mondo nel 2013, oggi quasi del tutto smantellata) quanto alle linee tranviarie che ostacolano la libertà del traffico mentre Toronto e Melbourne pur essendo in Paesi che hanno seguito più di tutti il credo liberalista nella motorizzazione di massa si tengono ben cari i loro tram. Anzi, entrambe ne hanno fatto un’eccellenza.
14. Quale futuro per il tram?
I rapporti sono chiari: inevitabilmente il tram (e il filobus, quindi i sistemi a impianto fisso) non possono essere spalmati sul territorio ma necessariamente devono comparire preferibilmente sulle dorsali portanti dove è massimo il loro effetto strutturante (ovvero la capacità di coniugare efficacia tecnologica ed efficienza applicativa, nel grafico la scala per i servizi bus è 10:1 quella di tram e filobus).
15. Automa(tizza)zione ma con grano salis
L’automazione – o, più correttamente, automatizzazione della guida che seguirà gli ordini di hardware e software progettati da qualcuno – risolverà i problemi odierni della mobilità al punto da rendere desueto il trasporto pubblico?
Le attuali evidenze sperimentali ci permettono di trarre alcune considerazioni generali:
- L’incidentalità si ridurrà drasticamente (≤ 5% del valore attuale) ma resterà aperta la questione del rischio di investimento di un pedone a meno di non automatizzare anche loro oppure di separare i flussi;
- Aumenteranno i mezzi in circolazione di un fattore compreso tra il 5 e il 10%;
- Andremo tutti più lenti. Non solo entro i limiti di circolazione ma entro il rispetto dei coefficienti di sicurezza che gli enti di controllo riterranno opportuni. Come per le ferrovie nascerà una Agenzia nazionale per la sicurezza stradale che vigilerà su norme e regolamenti;
- Aumenterà lo spazio della mobilità. Tutte le auto dovranno rispettare le distanze di sicurezza e i franchi laterali. In una parola aumenterà la sagoma dinamica del traffico e lo farà in maniera considerevole: se oggi si viaggia al massimo alla metà della distanza di sicurezza che si dovrebbe tenere senza tenere conto dei giusti franchi di sicurezza in futuro un’auto automatica che procede a 30 km/h distanzierà almeno di 15 metri quella che la precede. L’aumento di spazio destinato alla viabilità è il prezzo di una maggiore sicurezza: ci sarà bisogno di almeno il 52-55% in più di spazio per la circolazione.
Insomma, sembra che il problema principale ovvero l’uso più efficace dello spazio urbano (e non solo) sarà lungi dall’essere risolto. E allora, per non ripetere le delusioni avute nelle passate edizioni tra le visioni ammiccanti di Futurama e la realtà che ne è conseguita, è meglio restare con i piedi a terra e prendere la tecnologia per quello che è: un mezzo e non un fine.
Per esempio: perché nessuno parla di applicarla per rendere più efficiente il trasporto pubblico?
19. Va bene ma allora il futuro del tram è chiaro?
Se il tram moderno, alla francese per capirci, quindi caratterizzato da una riqualificazione façade-façade dello spazio stradale attraversato dai binari, da una separazione netta delle correnti di traffico e quindi da elevate velocità commerciali è un prodotto ormai ben rappresentato da centinaia di casi di studio è lecito chiedersi se i possibili usi moderni del tram siano quelli che vediamo.
Oppure ce ne sono altri? Per esempio: c’è ancora spazio per le tranvie extraurbane?
E, ancora, c’è uno spazio per i tram anche nelle città medie ovvero quelle con una popolazione compresa tra 100mila e 500mila abitanti?
16. Quei tram di campagna
San Gallo è una città della Svizzera orientale, ottava della Confederazione elvetica per numero di abitanti e capoluogo dell’omonimo cantone. Comune di 39,4 km quadrati e 76.912 ab., è una area urbana di 12 Comuni estesa su 189,3 km quadrati con 162.978 ab. (stima 1/1/2021). La rete del trasporto urbano comprende 4 linee filoviarie per uno sviluppo di 22,6 km esercite con filosnodati da 18 metri e bisnodati da 24 metri; 12 linee urbane e suburbane di autobus. Oltre alla rete su gomma la città è servita anche da una serie di linee in concessione, le ferrovie dell’Appenzell. La rete Appenzeller Bahnen comprende 5 linee a scartamento ridotto integrate nel servizio ferroviario suburbano che dalla città si dirama entro un raggio di 80 km.
Di queste linee, la linea Trogen -San Gallo – Gais è quella più interessante in termini di servizio ferroviario leggero. Si tratta di una ferrovia elettrificata a +1.000 Vcc. La pendenza massima raggiunta dal percorso, tutto in aderenza naturale, è del 76 per mille: si tratta della massima pendenza superata da una ferrovia svizzera senza l’aiuto della cremagliera. La linea misura 9,8 km e in parte del suo percorso si svolge su tratta urbana in promiscuo con la circolazione stradale in maniera analoga alle tranvie. La tensione di linea in tale tratto è abbassata a 600 Vcc, valore elvetico standard per la trazione elettrica urbana.
Dal 2015 al 2018 sono stati eseguiti importanti lavori di riqualificazione e potenziamento della linea: sia lato Trogen che lato San Gallo sono stati adeguati tratti di tipo tramviario ovvero con marcia a vista (in particolare con presso Teufen, cittadina di 6.390 ab. nell’Appenzello Esterno) e sono stati acquistati rotabili di moderna concezione, capaci sia di prestazioni tranviarie che di tipo ferroviario regionale (velocità massima 110 km/h). Si tratta di 11 unità ABe 8/12, modello Tango di Stadler Rail: il costo della commessa è stato di 84 milioni di franchi (al valore 2017, 68 milioni di euro per 6 milioni a vettura). Per l’utilizzo da parte di Appenzeller Bahn, Stadler Rail ha aggiornato il Tango con una maggiore resistenza all’urto frontale e predellini (sono larghi 240 cm a fronte di una sagoma preesistente che è di 265 cm).
17. Tram che diventano treni tra piccole città
Il tram-treno Szeged – Hódmezővásárhely (Ungheria) è un sistema di tram-treno di tipo proprio di 31,6 km tra le città ungheresi di Szeged (Seghedino, 159.074 ab. all’1/1/21) e Hódmezővásárhely (42.304 ab.). Nonostante i diversi progetti di trasformazione di linee ferroviarie vicinali in tranvie periurbane/suburbane, quello ungherese è il primo sistema di tram-treno proprio (ovvero con effettiva promiscuità di servizio) attivato in Europa dal 2010, quando entrò in servizio il tram-train Mulhouse Vallée de la Thur.
I servizi ferroviari tranviari circolano come sviluppo della linea 1 del tram di Szeged dalla stazione centrale alla stazione di Szeged-Rókus. Presso la stazione di Szeged-Rókus, il binario di collegamento SZKT (tram) – MÁV (ferrovie ungheresi) è stato completamento ricostruito parallelamente ai binari del fascio ferroviario per circa 800 metri. Il nuovo binario di transizione si unisce alla linea ferroviaria a monte del piazzale ferroviario di Szeged-Rókus direzione Algyő. Da qui al cavalcavia dell’autostrada M43 (svincolo di Baktó), la linea ferroviaria è stata raddoppiata per circa 3 km ma il secondo binario può essere utilizzato solo dai treni tram-treno, perché solo il binario 1 entra nel piazzale ferroviario di Rókus. Il collegamento anche del binario 2 al servizio ferroviario avrebbe richiesto la modifica del segnalamento della stazione ferroviaria di Szeged-Rókus, un’opzione scartata perché ritenuta troppo onerosa.
Dal bivio Baktó alla stazione di Algyő, l’impianto è rimasto a singolo binario. I treni tram-treno si fermano alla stazione di Algyő che funge anche da posto di movimento. I treni Szeged – Békéscsaba, invece passeranno senza fermare con diritto di precedenza. Per velocizzare il transito ferroviaro, la stazione è stata dotata di nuove comunicazioni percorribili a 80 km/h; la comunicazione lato nord è stata estesa a valle del ponte sul fiume Tibisco (Tisza, in ungherese) portando la tratta raddoppiata a circa 2 km. Superato il ponte Algy, è stata raddoppiata la tratta fino al bivio Sártó a Kopáncs per circa 4 km. Kopáncs rimane una stazione a doppio binario in termini di traffico ferroviario, ma né i tram né i treni passeggeri la utilizzeranno. La fermata di Hódmezővásárhely, un tempo passante è stata equipaggiata con una nuova comunicazione tra le linee di Szentes e quella proveniente da Szeged.
Il tram-treno dalla fermata Hódmezővásárhelyi Népkert esce dalla linea ferroviaria passando in modalità tram. Oltre al fabbricato della stazione MÁV, è stata realizzata una comunicazione e una fermata per i tram in modo da rendere il servizio tranviario indipendente da quello ferroviario.
18. Tram per piccole città
Valenciennes sorge al centro del bacino carbonifero dell’Hainut, una regione transfrontaliera che si estende tra Francia (oltre a Valenciennes, capoluogo, Maubege) e Belgio (Mons). È un comune di 43.471 ab. (13,8 km quadrati; densità di 3.141 ab per km quadrato) con una area urbana di 399.677 ab. (597 km2 di cui 27 in parte belga; 670 ab/km2). Nell’ambito di un ambizioso programma di riqualificazione urbana – principalmente per portare la città fuori dalle secche della deindustrializzazione forzata -, il 3 luglio 2006 viene inaugurata una prima linea tranviaria di 18,3 km di lunghezza, dall’Università all’Espace Villars nel popoloso comune di Deniers. La linea 1 è una ordinaria tranvia a doppio binario secondo l’ormai consueto modello francese, particolarmente attento all’inserimento urbanistico e al raccordo progettuale dell’infrastruttura con il contesto.
La linea 2 si presenta come una antenna di diramazione della 1, in un contesto metropolitano-periurbano. Il bacino della linea è di 62.000 spostamenti al giorno (feriale) per una domanda attesa sulla linea pari a 22.100 spostamenti per giorno feriale. Si opta per una soluzione innovativa, nel campo delle nuove tranvie: realizzare una linea a binario unico banalizzato con raddoppi in fermata per gestire gli incroci delle vetture procedenti nelle due direzioni. La sede è protetta da cordoli per segnalare alle auto in transito nelle corsie adiacenti il doppio senso dell’esercizio tranviario; nei tratti banalizzati (a doppio senso) la velocità massima è limitata a 30 km/h: questo alza la percorrenza sulla linea da 37’ a 51’.
La linea 2 si sviluppa per 15,5 km con 37 fermate. Il costo è stato di 161,2 milioni di euro di cui: 74,0 per la via di corsa; 15,0 per le finiture stradali; 18,8 per il nuovo ponte della Bleuse-Borne (con demolizione del precedente); 32,0 per opere complementari; 21,8 per l’acquisto di 9 veicoli. Il costo della sola via di corsa della linea 2 è stato di 4.774 euro/m ovvero 3.178 euro per m di binario (-11% rispetto alla linea 1). La differenza è dovuta all’aver adottato una piattaforma “a spessore” (in francese pose en voie jaquette) in luogo del classico armamento su soletta in calcestruzzo. Le rotaie sono fornite in opere inglobate in una trave di sostegno in calcestruzzo e vengono posate su un fondo stabilizzato a calce.
La potenzialità di servizio è di un passaggio (alternato) ogni 7’ ovvero 15’ sullo stesso senso: si opta per un esercizio meno frequente, a 20’. I posti giorno, offerti sono 14.160 per senso di marcia (servizio dalle 6:00 alle 22:00) ovvero 29.000 posti totali (il 93% della domanda).
In esercizio, l’accesso dei tram in marcia alle sezioni a singolo binario è disabilitato con segnale di via impedita. La protezione consta di due sistemi:
- segnalamento con circuiti di binario di rilevazione delle vetture;
- dispositivo di arresto automatico dei tram (DAAT) composto da quattro elementi dei quali tre a bordo e uno a terra.
L’elettronica dà sicurezza ma anche il rischio di fallibilità dei sistemi…
Subito dopo la messa in servizio, sono comparsi i seguenti fenomeni:
- impossibilità di passare i veicoli sul tornio in fossa per la rettifica delle ruote senza rimuovere i supporti del rilevatore CE-KFS (operazione effettuata ogni 20mila km di esercizio che sui 30 tram della rete si traduce operativamente in un passaggio al tornio ogni 2 giorni);
- rottura dei rivelatori CE-KFS e dei loro supporti durante la marcia dei veicoli;
- comparsa continua e reiterata di frenature d’emergenza (FU) inopportune rispetto alle condizioni di esercizio, con conseguenze anche rilevanti in termini di ferimenti (prognosi massima 30 giorni) occorsi ai passeggeri a bordo.
Il dibattimento – che ha visto coinvolto nella perizia tecnica d’ufficio tra gli altri l’Institut de Soudure, centro privato d’eccellenza nella verifica e ricerca sulle giunzioni metalliche – ha provato che le saldature non fossero all’origine del distacco del blocco del rilevatore dal fondo delle vetture. Rotture che invece derivavano da una errata progettazione: eccessiva sollecitazione indotta dalle vibrazioni (tramite accelerometri sono state misurate accelerazioni superiori a 20g fino a 35g) in fase ordinaria di marcia e urti (appena 7 cm di luce tra rilevatore e piano strada) con oggetti o ostacoli accidentalmente presenti sulla sede. Le prove tecniche nello stabilimento Alstom di La Rochelle hanno mostrato che le frenature di emergenza venivano attivate in seguito alla trasmissione erronea di segnali fittizi generati dalle stesse eccessive vibrazioni sul rilevatore.
Grazie al supporto progettuale del Centre Technique des Industries Mécaniques (CETIM) è stato progettato a spese del RTI un nuovo tipo di rilevatore che in esercizio ha mostrato funzionalità e resistenza adeguate alle richieste di capitolato.
Per quanto riguarda l’attivazione della frenatura d’emergenza c’è un altro elemento progettuale degno di essere qui rappresentato: tra le varie perizie tecniche intervenute nei complessivi sei anni dibattimento è emersa una corresponsabilità nella posa in opera. La distanza tra la boa KFSI e l’inizio della sezione protetta (banalizzata) è di appena 10 cm, ovvero al limite delle tolleranze del fissaggio dei sostegni del rilevatore di bordo. Per evitare l’inserimento del segnale di blocco per mancata rilevazione del segnale di terra, tale distanza avrebbe dovuto essere almeno di 150 cm: avendo scelto di non realizzare lavori lungolinea che sarebbero apparsi troppo invasivi, si è scelto di agire sul Regolamento d’esercizio della linea imponendo ai conducenti il limite di 20 km/h. La vettura, che normalmente arresta in banchina in attesa del via libera a impegnare la tratta banalizzata, deve ripartire avendo la sede completamente libera da pedoni in attraversamento o veicoli stradali eventualmente in manovra in procinto di impegnare la sede tranviaria.
Per tutto il periodo della causa giudiziaria (quindi dal febbraio 2015 al maggio 2021), il servizio sulla linea 2 si è svolto con modalità ridotta: 8 vetture in servizio (sulle 13 di progetto) con un intertempo di 24 minuti rispetto ai 12 di progetto. Per tutto il periodo il servizio tranviario è stato affiancato da un servizio sostitutivo su gomma (T2bus).
Terminata la fase giudiziaria, i nuovi rilevatori CE-KFS hanno ricevuto autorizzazione al montaggio e messa in servizio con nota prefettizia del 17 maggio 2021. L’offerta di servizio di progetto sulla linea 2 è stata attivata con il nuovo orario di giugno 2021; da allora la linea è esercitata secondo l’orario seguente:
- 16 ore di servizio (prima corsa alle 5:12, ultima alle 21:10);
- 76 corse per direzione e intertempo a 12’ da lunedì a venerdì; 61 corse per direzione e intertempo a 15’ il sabato e i giorni non scolastici; 32 corse per direzione e intertempo a 30’ la domenica.
La produzione è stata di 869.000 tram km anno nel periodo 2015-maggio 2021 mentre quella programmata dal giugno 2021 è di 1.448.327 tram km anno.
Definita incidentalità l’occorrenza di un sinistro tra vetture tranviarie in esercizio o fuori linea ovvero tra una vettura tranviaria ed elementi esterni all’esercizio siano essi veicoli a motore, cicli o pedoni si trova (figura 3.37) un valore di riferimento sul totale degli impianti francesi in esercizio tra il 2010 e il 2019 pari a 35,3 casi ogni milione di km prodotto (Mkm). Tale valore scende a 30,9 casi per milione di km (-12,3%) se si considera solo gli impianti cosiddetti STPG puri ovvero quelli progettati secondo il decreto 2003-425 del maggio 2003 sulla sicurezza dei Systemes de Transports Publics Guidés (la statistica include quindi impianti o prolungamenti di impianti esistenti inaugurati progettati a partire dal giugno 2003 e inaugurati a partire dal 2006 in poi).
La linea 1 di Valenciennes è leggermente sotto la media nazionale con 32,9 sinistri ogni Mkm (-6,8% rispetto al dato nazionale). La linea 2 – anche per le limitazioni dell’esercizio, con una frequenza dimezzata rispetto a quella di progetto – è a 22,6 sinistri per Mkm (-35,9% rispetto al dato nazionale). A seguito degli interventi post-giudiziari apportati in particolare al sistema di rilevazione della posizione delle vetture tale valore (calcolato su un periodo di 13 mesi) è sceso a 21,6 sinistri per Mkm (-6,9% rispetto al periodo di esercizio precedente). Per la linea 2 di Valenciennes, siamo quindi ben al di sotto della media nazionale – anche ridotta ai soli sistemi STPG puri. Tale valore è afferibile tanto all’attenzione indotta dai problemi impiantistici (di cui vedremo più avanti) sia a livello di controllo da remoto che soprattutto sui macchinisti quanto alle limitazioni di velocità e, soprattutto, alla natura stessa degli impianti (con il passaggio su molti più deviatoi di quanti se ne avrebbe in una linea ordinaria a doppio binario).
Definita anomalia impiantistica un evento che comporta una momentanea interruzione dell’esercizio non ascrivibile a cause o perturbative esterne si trova un’occorrenza media sul totale delle reti francesi esercizio tra il 2010 e il 2019 pari a 44,0 eventi per Mkm. Restringendo l’analisi ai sistemi STPG puri ovvero attivati a seguito del 2006 si trova un valore leggermente maggiore, pari a 48,9 eventi per Mkm (+11,3%): un incremento controintuitivo rispetto a quello che si si aspetterebbe da impianti più nuovi. Secondo la documentazione resa disponibile dai locali Syndicat Intercommunal de Mobilité sistemi più recenti, realizzati sotto un piano normativo più stringente in termini di sicurezza, hanno maggiore sicurezza rispetto ai sinistri ma anche una maggiore complessità impiantistica che si traduce in una maggiore presenza di apparati e logiche di controllo – non sempre in regime di ridondanza, anche per scelte legate al contenimento dei costi generali – a loro volta soggetti a episodi di malfunzionamento con temporanei fuorilinea. Sistemi più recenti significa soprattutto non standardizzati ovvero protetti da brevetto e quindi non facilmente ponderabili preliminarmente in termini di affidabilità d’esercizio.
In questo quadro generale, la linea 1 di Valenciennes è leggermente sotto la media nazionale dei fuorilinea (-3,6%) con 42,4 eventi per Mkm. La linea 2, fino al maggio 2021, è stata come detto affitta da numerosi disservizi legati in particolare a eventi di arresto automatico delle vetture: con 89,3 eventi ogni Mkm prodotto siamo ben oltre la media nazionale (+103,1%). Il periodo di esercizio successivo mostra, nonostante la brevità del periodo, un considerevole miglioramento: 24,2 eventi di fuorilinea ogni Mkm ovvero -72,9% rispetto al periodo precedente e -44,9% rispetto al valore di riferimento nazionale.
Si nota, infine, che sulla stessa linea 2 in tutto il periodo di esercizio esaminato ovvero dal febbraio 2014 al luglio 2022, non è stato registrato alcuna collisione tra tram procedenti in direzione opposta né casi di occupazione illegale delle tratte a singolo binario.
19. Tram a singolo binario. Il caso di Bordeaux
Quella della città di Bordeaux (comune di 44,0 km quadrati e 265.008 ab.; area urbana di 913,4 km quadrati e 877.155 ab. al 1/1/22) è una delle reti tranviarie moderne più celebri tra quelle della Reinassance tranviaria successiva al concours Cavaillé. Aperta all’esercizio il 21 dicembre 2003 oggi consta di un impianto di 77,3 km con 142 fermate (con ulteriori 5 km e 5 nuove fermate in costruzione) su cui sono esercite 4 linee.
L’impianto di Bordeaux è stato sviluppato per fasi con macro-lotti funzionali:
- Prima fase: tra il 2000 e il 2005 con la costruzione di 24,5 km di impianti, 54 stazioni e due depositi per un investimento di 690 milioni di euro;
- Seconda fase: tra il 2006 e il 2008 con l’estensione contemporanea di tutte e 3 le linee attivate per un totale di 19,6 km e contestuale realizzazione di un totale di 5.000 stalli in parcheggi di scambio;
- Terza fase: tra il 2019 e il 2025 di 38,0 km di impianti per l’estensione ulteriore delle tre linee, la diramazione della linea C a Blanquefort in affiancamento alla linea ferroviaria e la realizzazione della nuova linea D.
Come si evince dalla planimetria della rete la terza fase presenta una novità rispetto alle precedenti: le tratte di completamento più esterne sono realizzate a singolo binario con (raddoppi mediamente ogni due fermate per l’incrocio tra vetture procedenti in senso opposto). Complessivamente le tratte a singolo binario si estenderanno per 23,6 km, ovvero poco meno del 29% dell’intera rete al 2025 (82,3 km).
Il caso di Bordeaux presenta degli elementi generalizzabili – sempre in Francia è il modello adottato per il completamento della rete tranviaria della città di Montpellier: 14,0 km di impianti su un totale di 60,5 km (il 23% del totale) sono a singolo binario – rispetto all’uso del binario singolo per il completamento delle reti tranviarie di nuova realizzazione:
- permette di estendere la copertura territoriale del servizio alle aree periferiche a un costo parametrico di circa il 65% rispetto alla soluzione a doppio binario;
- permette di realizzare delle tranvie con una occupazione ridotta del 40% rispetto alla soluzione a doppio binario: 400 cm di larghezza lorda della sede a fronte dei 620 cm al minimo. Essendo l’esercizio del binario banalizzato, quindi percorribile in entrambi i sensi la soluzione a binario singolo deve necessariamente essere separata dal resto della circolazione viaria;
- presenta una maggiore efficacia nell’impiego delle risorse con un distanziamento maggiore delle fermate, ove si privilegi una maggiore velocità commerciale con fermate polarizzanti rispetto ai servizi di ultimo miglio e all’accessibilità in genere. Una soluzione maggiormente idonea laddove la densità territoriale si riduce al di sotto dei 2.500 ab. per km quadrato (ovvero 25 ab. per ha).
In particolare, relativamente all’efficacia trasportistica di estendere la rete tranviaria alla periferia più esterna, il caso bordolese è di estremo interesse.
La Fase 1 del tram di Bordeaux ha portato all’attivazione di 24,5 km di nuova tranvia a doppio binario con 41,3 milioni di passeggeri anno, cresciuti tendenzialmente a 63,5 milioni al 2019 (al netto del contributo delle ulteriori estensioni).
La Fase 2 ha portato alla prima estensione della rete con 19,8 km di nuova tranvia a doppio binario: l’effetto addizionale sulla frequentazione è stato di 14,5 milioni di passeggeri anno, cresciuti tendenzialmente a 22,4 milioni al 2019. Un incremento traducibile in:
- 7,35 milioni di passeggeri anno per 10 km di nuova tranvia;
- +2,36 milioni di passeggeri anno per 10 km di nuova tranvia per 1.000 ab. per km quadrato.
La Fase 3 ha portato alla seconda estensione della rete (non ancora del tutto completata) con 22,1 km di nuova tranvia di cui 15,2 a singolo binario: l’effetto addizionale sulla frequentazione è stato di 15,1 milioni di passeggeri anno, cresciuti tendenzialmente a 23,1 milioni al 2019. Un incremento traducibile in:
- +6,83 milioni di passeggeri anno per 10 km di nuova tranvia;
- +5,83 milioni di passeggeri anno per 10 km di nuova tranvia per 1.000 ab. per km quadrato.
La Fase 3 ha riguardato la prima corona periferica dell’area urbana bordolese con estensioni realizzate per il 54% con nuove sezioni a singolo binario. A fronte di un tessuto edilizio più rarefatto e una densità territoriale più bassa (a livello di bacino -57% rispetto a quello della Fase 2) l’incremento di passeggeri sull’intera rete per 10 km di nuova sede è stato più basso di quello della Fase 2 di appena il 5,5%. Riferendo l’incremento dei passeggeri ai 10 km di nuova tranvia per 1.000 ab. per km quadrato la Fase 3 è stata più efficace della Fase 2 del 147%.
Quindi la soluzione con sezioni più snelle – ovvero a singolo binario, compatibilmente con il programma di esercizio – per il completamento di una rete tranviaria matura come quella bordolese si mostra capace di rispondere alle esigenze di mobilità della cittadinanza in maniera ugualmente efficace. Una considerazione tutt’altro che secondaria se si ricorda il ruolo esiziale delle rotture di carico nella mobilità d’area vasta: come confermano i dati raccolti a Bordeaux, un servizio tranviario porta-porta su intertempi maggiori è più attraente di un servizio tranviario più frequente ma che necessita di almeno un cambio di mezzo per essere raggiunto.
20. Ma quanto conviene un tram?
Dopo questa lunga dissertazione che, seppure in briciole, ci ha portato dai trenini delle miniere ai redcar di Los Angeles e quindi al trenino di San Gallo, al primo tram-treno ungherese, passando per Bordeaux e Valenciennes e i loro tram a binario singolo veniamo al tema che più di tutti interessa. Quanto costa e, soprattutto, quand’è che conviene il tram.
All’8° Convegno Tram dell’allora MIT, nel 2019, ho presentato una metodologia (trovate tutto qui, memoria e fogli di calcolo) utile a individuare delle chiare soglie di domanda oltre le quali, o tra le quali, conviene una busvia, una filovia o una tramvia. Facile, troppo. Come ogni accademico, ancorché agli inizia, sono (troppo) affascinato dal costruire una tassonomia che permetta di discretizzare la realtà: un cassetto per ogni caso di studio, un cassetto per ogni situazione della realtà. Ma la realtà è un po’ più complicata e, l’eccezione, diventa spesso la regola.
21. Il costo di un BRT elettrico
E allora proviamo ad aggiornarla questa metodologia a iniziare dai costi di realizzazione delle tecnologie cosiddette intermedie – cioè che sono utili tra le classi domanda che si trovano tra una normale linea di bus e una linea di metropolitana “pesante”). Proviamo a definire una forchetta di costi: semplificare va bene, ma non troppo. Quindi:
- minimo costo = minore grado di protezione della sede e separazione dal resto dei flussi viari, veicoli di minore capacità, a parità di standard normativi una minore complessità degli impianti di segnalamento e controllo della marcia. Nella analisi dei quadri economici è individuato come l’85° percentile del gruppo di studio;
- maggiore costo = maggiore grado di protezione della sede e separazione dal resto dei flussi viari, veicoli di maggiore capacità, a parità di standard normativi maggiore complessità degli impianti di segnalamento e controllo della marcia. Nella analisi dei quadri economici è individuato come il 15° percentile del gruppo di studio.
Tutti i costi presentati di seguito sono da intendersi al valore del dicembre 2021, quindi al netto degli adeguamenti prezzi del 2022 e successivi ulteriori aggiornamenti.
Partiamo dai BRT ovvero dal costo di una busvia (perché qui parliamo di pacchetto completo, infrastruttura più veicoli). La prima tabella mostra i costi medi di realizzazione di una busvia elettrica per metro di sviluppo del corridoio: l’analisi è su 8 progetti italiani (realizzati o finanziati e in fase realizzativa) nel periodo 2010-2022 completata da 3 realizzazioni europee che sono assurte ormai a casi di riferimento (la rete Nemo di Amiens, la linea 12 TOSA© di Ginevra e la linea 4 di BHNS di Nantes).
22. Il costo di una filovia
La seconda tabella mostra i costi medi di realizzazione di una filovia per metro di sviluppo del corridoio: l’analisi è su 7 progetti italiani (realizzati o finanziati e in fase realizzativa) nel periodo 2010-2022.
23. Il costo di una tramvia
La terza e ultima tabella mostra i costi medi di realizzazione di una tranvia per metro di sviluppo del corridoio: l’analisi è su 17 progetti italiani (realizzati o finanziati e in fase realizzativa) nel periodo 2010-2022.
24. Sorpresa: un tram (con grano salis) conviene più di quanto si pensi
Il grafico mostra i risultati della analisi economica ampliata (all’energia grigia sulla vita utile) dei sistemi intermedi: curve di convenienza disaccoppiate tra progetti a basso costo/performance e progetti ad alto costo/performance.
Il grafico è esteso a tutto il campo di esistenza delle tranvie (ovvero entro la massima capacità esprimibile) quindi tra il campo di esistenza dei bus/filobus e quello delle metropolitane ovvero dei sistemi più pesanti (in termini di opere connesse e colgo l’occasione per sfatare un mito: nulla è “leggero” nemmeno un bus perché mettere insieme più di 100 persone a veicolo significa muovere 7 tonnellate).
Cosa mostra questo grafico?
Che a parità di una maggiore complessità tecnologica dei sistemi su gomma (parliamo di busvie quindi di corsie riservate e parliamo di trazione elettrica quindi impianti a terra ancorché puntuali) – che in ragione delle maggiori performance richieste presentano ormai anch’essi elevati livelli di separazione della sede e sistemi di segnalamento e controllo (basati su spire magnetiche poste al di sotto della superficie stradale) formalmente simili a quelli tranviari – il tram presenta una minore larghezza della sede propria (quando questa sia preclusa al transito ordinario di altri veicoli), una trazione maggiormente efficace (a parità di motore elettrico, data dal contatto ferro-ferro anziché pneumatico-asfalto) e una maggiore capacità espletabile.
In sintesi, se dal confronto tra le tecnologie di trasporto si rimuove l’inganno della trazione termica – e quindi dei combustibili fossili, abilissimi a nascondere sotto al tappeto le esternalità dirette e indirette – il tram è intrinsecamente più efficace di quanto si creda. E sì, le soglie “storiche” basate sul confronto con i bus diesel messi in promiscuità col resto del traffico possono essere messe in soffitta insieme alle pubblicità al fumo dei virili cowboy o delle suadenti pin-up.
Dettagliando lo stesso grafico entro la finestra di domanda dei 70mila passeggeri giornalieri si vede quanto già oltre la soglia dei 900-1.000 posti offerti (non vuoti) per direzione in ora di punta ovvero dei 20mila passeggeri giornalieri il tram sia la tecnologia più efficiente tra le alternative a trazione elettrica.
Al momento in cui l’ingiusta – e tecnicamente errata – concorrenza tra gomma e ferro si pone su un piano meno sleale (ovvero confrontare una tranvia con una linea di bus in servizio semi-promiscuo oppure celare le esternalità dei combustibili fossili entro analisi parzializzate) il sistema tram non è più quella alternativa idonea solo a certi livelli di domanda e quindi adatta a città di dimensioni maggiori. Premesso che la prima regola sia di salvaguardare gli impianti fissi esistenti – inclusi i rami ferroviari marginali o locali – ogni volta che si redige una analisi della fattibilità tecnologica delle alternative di progetto per un nuovo corridoio di trasporto si dovrebbe valutare la giusta soluzione tranviaria ovvero declinare il progetto tram al contesto.
25. E quindi qual è il futuro del tram?
Dire che un tram è più efficace nel raggiungere gli obiettivi di sostenibilità della mobilità significa non pretendere di trasporre il tram di Grenoble o Strasburgo in altri contesti: se così si fosse fatto molto probabilmente la linea di Trogen dell’Appenzellerbahn sarebbe finita per essere considerata un ramo secco non essendo idonea per le geometrie del tracciato al transito di elettrotreni ferroviari ordinari. Parimenti il tram-treno Szeged – Hódmezővásárhely non avrebbe visto la luce come lo stesso impianto tranviario di Hódmezővásárhely, una cittadina di poco più di 40mila abitanti: eppure nei primi 6 mesi di servizio la domanda di trasporto pubblico di Hódmezővásárhely è salita del 48% mentre la quota modale degli spostamenti con mezzo privato tra Szeged e Hódmezővásárhely è scesa del 25%.
Fatto tesoro delle esperienze (come quella di Valenciennes con i suoi 7 anni di diatribe giudiziarie intorno al sistema di protezione “uomo-morto”) le più interessanti prospettive di sviluppo dei sistemi tranviari sono proprio sulla frontiera delle realizzazioni degli ultimi trent’anni con un occhio particolare ai Paesi dell’Europa centrale, ovvero a quei sistemi che non essendo stati dismessi si sono trasformati gradualmente nel tempo adattandosi alle esigenze dell’utente contemporaneo (non cedendo al contrario ai dettami del mercato, che da mezzo diventa fine come sovente accade nelle nuove realizzazioni):
- impianti periferici e suburbani anche con l’adozione ragionata del binario singolo a completamento delle reti esistenti con servizi rapidi (quindi fermate distanziate) per evitare le rotture di carico negli spostamenti degli utenti tra periferia e aree centrali;
- impianti interurbani di prolungamento regionale di una rete esistente anche attraverso l’uso promiscuo di rami ferroviari locali (ovvero non dichiarati di interesse nazionale);
- nuovi impianti nati dalla riconversione all’uso ferroviario leggero o tranviario di rami ferroviari locali, raccordi merci, cosiddetti rami secchi che così resterebbero in esercizio per futuri riutilizzi anche ferroviari (il passato insegna che le esigenze possono essere più fluide di quanto si creda).
Insomma, tecnici, pianificatori e cittadini hanno ora due possibili strade: continuare verso un’imperitura Futurama, dove l’approccio fideistico alla tecnologia la fa diventare più un fine che un mezzo.
Oppure tornare a progettare e immaginare un futuro diverso: una strada meno scontata ma senza dubbio più fruttuosa per tutt*, siano Sapiens oppure le tante altre specie di esseri viventi con le quali ci troviamo a condividere questo complicato ma unico pianeta che chiamiamo casa.
Linkopedia
Concludo questo percorso con la memoria e la presentazione discusse il 5 e 6 ottobre a Roma, al IX° Seminario Nazionale Sistema Tram del MIT.