Il recente passaggio da USTIF ad ANSF di 12 linee secondarie interconnesse a RFI, avvenuto a seguito del Decreto Ministeriale del 5 agosto 2016 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 15 settembre, ha generato effetti immediati nella prospettiva di garantire maggiore sicurezza nella circolazione ferroviaria. Sono rimaste in gestione Ustif solo le linee isolate e quelle a scartamento metrico. E sono salve da questa limitazione di velocità.
Dal 1 ottobre 2016 tutti i gestori delle infrastrutture e annesse imprese ferroviarie interessate dal Decreto di cui sopra (GTT, FerrovieNord, Ferrovie Udine Cividale, Società Sistemi Territoriali, FER, RFT, Umbria TPL & Mobilità, TUA, EAV, Ferrotramviaria, Ferrovie del Gargano e FSE), si vedono costrette a ridurre la velocità massima di esercizio dei loro treni a 50 o 80 km/h in mancanza di sistema di blocco e di sicurezza analoghi a quelli presenti su Rete Ferroviaria Italiana (SCMT o SSC).
Il provvedimento ha forma diversa a seconda del sistema di blocco con cui è attrezzata la linea e pertanto la situazione è alquanto eterogenea. Rete Ferroviaria Toscana ha subito diramato un comunicato stampa attraverso il quale informa che la circolazione viene rallentata a 80 km/h su tutta la rete, stessa informazione da Umbria Mobilità che però è costretta a rallentare a 50 km/h i suoi treni.
Per le FSE le tratte limitate saranno la Casarano-Gallipoli, Maglie-Otranto e Zollino-Gagliano del Capo. “Non è pensabile che sulle ferrovie concesse della Puglia si viaggi a 50 chilometri orari, laddove siamo in grado di garantire condizioni di sicurezza adeguate”, ha commentato il commissario di FSE, Andrea Viero. Anche Ferrotramviaria fa sapere che la velocità massima sulla Bari Nord è limitata a 50 km/h.
Le restrizioni non riguardano solo la velocità massima di linea, ma anche l’attraversamento di eventuali passaggi a livello guasti per cui è indispensabile il presenziamento a terra, di quelli senza barriere o segnalamento acustico/luminoso. Il tutto si traduce in un sostanziale raddoppio dei tempi di viaggio e in una drastica riduzione del numero di treni ammessi a circolare su linee esercitate con blocco telefonico.
Il Decreto del 5 agosto implica anche la divisione tra gestore dell’infrastruttura ed impresa ferroviaria, l’acquisizione dei certificati di sicurezza ed ancora l’adeguamento delle infrastrutture con opportuno sistema di sicurezza della circolazione, uniformandosi di fatto alla vigente normativa in materia. Le imprese ferroviarie hanno quindi 30 giorni di tempo per presentare ad ANSF il programma dei provvedimenti che ciascuna azienda intende attuare per soddisfare i requisiti richiesti.
Ancora una volta la gestione della sicurezza in Italia porta ad atteggiamenti di un rigore estremo che finiscono con il danneggiare l’esercizio e la funzionalità dei vettori che si vuole rendere sicuri: in fondo cosa c’é di più sicuro di un treno che non parte?
Non è la prima volta che si passa ad azioni estreme, in nome della sicurezza. Basti pensare alla sicurezza dei passaggi a livello, altrove affrontata con sano pragmatismo, da noi eliminati in maniera massiva e sostituiti con cavalcavia o, più spesso, sottovia. Soluzione che oltre ad essere costosa – ben più di un operatore che presenzi il passaggio per 20 anni – porta ad un aumenti dei costi di manutenzione (pompe idrovore per mantenere il passaggio protetto dalle risalite della falda) e spesso della pericolosità. Perché l’Italia nel periodo 2000-2015 è stato il Paese europeo con più vittime per annegamento in sottovia.
Ma soprattutto si pensi che, per le norme ANSF, il 38% della rete ferroviaria tedesca e il 54% di quella inglese, sarebbe obbligato alla velocità massima di 50 km/h: questo non significa che si tratti di norme sbagliate, solo un po’ eccessive.