L’ Italia è in linea con gli obiettivi posti dal protocollo di Kyoto: nel 2010 le emissioni di gas serra si sono ridotte del 6-6,4 per cento rispetto al 1990. Questo quanto emerge da uno studio della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile, reso noto in occasione del sesto compleanno del trattato (entrato in vigore il 16 febbraio 2005), che poneva all’ Italia un target di riduzione delle emissioni del 6,5% rispetto a quelle del 1990, come media delle emissioni del 2008-2012. Questi risultati sono stati ottenuti grazie all’aumento dell’energia prodotta da fonti rinnovabili; ma soprattutto alla diminuzione del 2,7% rispetto al 2009 dei consumi di petrolio (diminuzione della benzina, leggera flessione del diesel e forte diminuzione negli usi elettrici). Si tratta di una stima che mostra come la diminuzione delle emissioni non sia dovuta a fattori strutturali e quindi di lunga durata ma a due fattori: l’esplosione delle energie alternative, sostenuta però dal Conto Energia più remunerativo dell’U.E. e dalla contrazione della produzione industriale legata alla crisi economica. Il nuovo Conto Energia è molto ridotto rispetto a quello 2006-2010 e soprattutto favorisce solo i piccoli impianti: questo presuppone che, in mancanza di una politica nazionale di ampio respiro, la pletora di mini interventi spuntati come funghi lungo le pianure del nord (pannelli solari estensivi) così come nell’Appennino (pale eoliche in ogni dove) non siano certo in grado di sostenere lo sviluppo di una produzione energetica alternativa. La politica per il lungo periodo è infatti ancora tutta impostata sull’uso estensivo del gas e sul carbone a ciclo migliorato. L’uso di queste risorse è molto migliorato rispetto al passato e le emissioni nocive (sia inquinanti che di gas-serra) sono estremamente ridotte. Il salto migliorativo è però assorbito dall’aumento di consumi secondo il noto paradosso del consumatore: “se costa meno – anche in termini ambientali – ne posso usare di più”. Quando la ripresa industriale farà ripartire in consumi sarà la mobilità la nuova bomba emissiva nazionale: tra il 2006 e il 2010 solo la TAV ha visto aumentare l’infrastruttura ferroviaria mentre le reti regionali e urbane sono entrate in un circo di passivizzazione sempre più stringente. E così dopo le positive osservazioni nazionali sono arrivate le note degli osservatori internazionali. La sempre cauta Agenzia Internazionale dell’Energia (AIE, agenzia dell’OCSE) nota che, a livello mondiale già nel 2010, con la ripresa della produzione industriale su scala globale, sono state emesse nell’atmosfera 30,6 miliardi di tonnellate equivalenti di CO2, pari a un aumento del 5% delle emissioni rispetto all’anno precedente: le emissioni di biossido di carbonio l’anno scorso sono state «le più alte della storia». Superato di slancio quindi il precedente record di 29,3 gigatonnellate che risaliva al 2008. Kyoto ha avuto il merito di essere il primo accordo mondiale sul clima: i limiti imposti hanno un grandissimo valore politico ma sono estremamente lontani da quello che sarebbe necessario fare. Il problema consiste, riporta l’AIE, nel fatto che l’80% dell’incremento delle emissioni relativo al settore energetico previsto per il 2020 è già stato raggiunto, poiché è dovuto a impianti già realizzati o in fase di costruzione. Tutto ciò mette fortemente in dubbio il limite massimo di 2 gradi dell’incremento della temperatura media globale fissato al vertice di Cancun dello scorso dicembre, come ha illustrato Fatih Birol, capo economista dell’AIE. Per raggiungere questo obiettivo, però, è necessario non superare il limite di 450 ppm (parti per milione) di gas serra nell’atmosfera. Ad aprile 2011, il Mauna Loa Observatory, presso le isole Hawaii ha segnato 393,11 ppm. Nel 2007 erano 387: alla velocità +7,4 ppm/anno basteranno solo 8 anni per superare il buon obiettivo di Cancun. Per saperne di più:
monitoraggio del contenuto atmosferico di CO2, monitoraggio delle acque del Mediterraneo, sempre più calde, stato di salute dell’artico, quest’anno già in forte stress, acidificazione degli oceani, che mette in pericolo l’intera catena alimentare.