PERCHÉ IN ITALIA DIFENDERE I MONUMENTI SIGNIFICA UCCIDERE IL TRASPORTO PUBBLICO?
ItaliaNostra in un comunicato stampa ha lanciato un allarme che si preannuncia avrà una lunga eco sui media e non solo. Secondo l’associazione “A giorni verrà recintata un’immensa area su via dei Fori Imperiali. Partendo dai piedi del Colosseo arriverà fino a metà dei Fori, altezza Largo Corrado Ricci. Progressivamente, si ridurrà lo spazio residuo per il traffico a due sole corsie, totalmente addossate al Colosseo. Per i turisti rimarrà solo uno strettissimo corridoio di 2,85 mt. Questa recinzione serve perché al suo interno tutta Via dei Fori verrà scavata e svuotata fino ad una profondità di 50 mt. Nello spazio così ricavato verrà costruita la gigantesca stazione della Metro C. Il cantiere durerà fino al 2020“. Dopo una disamina dei problemi che hanno afflitto il cantiere della linea C si chiosa “Attualmente si vuole almeno arrivare al Colosseo costi quel che costi, anche mettendo a rischio il monumento più famoso del mondo.”
L’allarme è destinato a far presa sul pubblico più vasto, per questo è infarcito di superlativi e poveri di numeri. Ora capita che anche su queste colonne ci sia spesso capitato di criticare il progetto della linea C sia per come era stato concepito sia per come è stato portato avanti in fase realizzativa. Ma capita anche che, proprio da queste colonne, ci si permetta di far notare che non è questo il modo di tutelare il patrimonio storico capitolino (che è patrimonio dell’Umanità intera, come ricorda l’UNESCO): delle tante incongruenze che affliggono la metro C, certo non si può con tanta leggerezza imputargli quella di mettere a rischio tanto il Colosseo, quanto i monumenti adiacenti. Perché lì ci si arriverà passando per la collina Velia, tra il Colosseo e la Basilica di Massenzio, dove anticamente scorreva un fiume e dove i terreni sono meno propensi a trasmettere le vibrazioni. Perché i sistemi costruttivi adottati sono più che validati da anni di esperienza e perché si da il caso che lì passi già una linea metropolitana, la B, realizzata quasi sessant’anni fa con tecnologie molto più “rudi” e aggressive. E in sessant’anni né una lesione né un cedimento seppere minimo sono stati imputati, dalla giustamente sempre attenta Soprintendenza, alla costruzione e all’esercizio della linea B. E perché il progetto ha tenuto conto di questi aspetti, con la Soprintendenza, visti gli oltre 15 anni di progettazione. D’altronde la stessa Soprintendenza ha già espresso parere positivo, altrimenti il CIPE non avrebbe potuto approvare il finanziamento della tratta in questione, la T3: esame impossibile, quello del CIPE, senza che l’iter progettuale, con la sua Conferenza dei Servizi, siano chiusi e tutti i pareri, vincolanti e non, siano stati recepiti.
Tralasciando poi tante imprecisioni, come quella dei “terreni di riporto” sui quali sarebbero stati edificati monumenti plurisecolari, ci si chiede perché ormai con precisione svizzera, una delle più importanti associazioni italiane (e nemmeno non l’unica) in tema di difesa del paesaggio e dell’ambiente finisca dalla stessa parte della barricata, insieme agli automobilisti, ai proprietari e ai commercianti (che in preda a strane sindromi vedono più le “perdite” causate dai cantieri che i guadagni e le rivalutazioni portati dal nuovo servizio) e a quanti si oppongono fermamente ad ogni nuovo corridoio di mobilità, qualunque esso sia. Come già accadde a Firenze nella battaglia contro il tram che, dissero, avrebbe “mangiato il Campanile di Giotto e tutto il Duomo” non si comprende come si possano trascurare le più elementari nozioni di trasporto pubblico: prime fra tutte quelle di capacità oraria ed esternalità dei trasporti.
In sostanza si urla al paventato pericolo di crollo di monumenti antichi, si grida al vilipendio del patrimonio artistico causato dagli “orridi” fili di filobus e tram ma si chiudono tutti e due gli occhi quando è il dilagare della motorizzazione privata a deturpare i centri urbani, è l’edificazione incontrollata sostenuta dall’assenza di un trasporto pubblico che permetta maggiori densità territoriali a deturpare quell’italico paesaggio che Antonio Cederna poneva come un giacimento di ricchezza per il Paese e, soprattutto, si ignorano completamente gli studi e gli allarmi lanciati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Istituto Superiore di Sanità riguardo alla sempre maggiore diffusione nei grandi centri urbani italiani di patologie inequivocabilmente afferibili all’uso di combustibili fossili per autotrazione.
Se per Firenze i tram da 40 metri erano sostituibili, sempre per Italia Nostra, con bus da 12 a Roma, la linea C è sostituibile con tram, possibilmente senza fili. Allora conviene sempre dar di conto: un tram da 42 m come il Sirio di Firenze può trasportare circa 250 persone, quanto 3 autobus da 12 m. Li trasporta con un mezzo elettrico che non produce scarti da combustione lì dove viene utilizzato ma li sposta alla fonte di produzione dell’energia (la centrale) dove possono essere ridotti di un centesimo rispetto a quanto sarebbero se prodotti nella trazione di un autobus a gasolio o a metano (metano che, contrariamente a quanto si pensi, è sempre un combustibile fossile e pertanto produce comunque emissioni nocive, seppure in maniera ridotta del 40% rispetto al gasolio). Naturalmente nel calcolo tralasciamo che gli autobus siano elettrici, perché, sempre per Italia Nostra, la rete aerea impedisce la fruizione di un monumento. Ora però, resta da osservare che:
– INQUINAMENTO ATMOSFERICO: i prodotti della combustione aggrediscono in maniera diretta o indiretta quei monumenti che si vogliono tutelare, innescando o accelerando carbonatazione o corrosione acida che letteralmente mangiano i monumenti.
– INQUINAMENTO ACUSTICO/VIBRAZIONALE: il tram ha un impatto vibrazionale su un punto fisso, il radicamento della rotaia, che può essere isolato completamente con un abbattimaneto provato delle emissioni dell’80%, mentre il trasporto su gomma anche con le tecnologie più dispendiose (mai viste nel nostro Paese) può ambire ad un contenimento del 20%. Omogeneizzando le intensità, posta a 100 la vibrazioni prodotta da un automobile, il bus arriva a 240 mitigabile a 192; il tram a 180, mitigabile a 40.
Il discorso è ancora più evidente per Roma, dove, questa volta, i tram (possibilmente senza fili) sarebbero chiamati – secondo l’associazione Celio supportata da ItaliaNostra – a sostituire una metropolitana, per di più di tipo pesante. Una metropolitana come la linea C, con veicoli da 1.200 posti e frequenze minime (essende automatica) possibili sino a 90′ ha una capacità di 40 passaggi ora per direzione pari a 48.000 posti/ora per direzione. Con che cosa si potrebbe sostituirli?
Con 192 tram da 40 m, uno ogni 18 secondi di frequenza per senso di marcia; meglio sarebbe adottare i tram da 48 m di Bordeaux e Montpellier da 400 posti circa: ce ne vorrebbero 120, cioé uno ogni mezzo minuto. Sostituire la metropolitana col tram comporterebbe il lasciare qualcuno o sugli autobus o in macchina propria: al massimo si potrebbero garantire 8.000 posti/ora per senso di marcia con tram da 48m e 400 posti alla più realistica frequenza di 3′. Ma siamo al 17% della capacità massima della metropolitana.
Ora visto che
– si sta parlando di alternative alla mobilità privata, nella città europea (tra quelle con più di un milione di abitanti) con il più basso rateo di utenti del trasporto pubblico (checché ne dica ATAC, 800.000 passeggeri al giorno, sugli autobus, più 1.150.000 trasportati da metro+tram+treni fanno circa 2 milioni di passeggeri sul TPL che, a fronte di circa 7,5 milioni di spostamenti/giorno sono appena il 26% contro il 63% di Londra e il 71% di Parigi) con il più alto tasso di motorizzazione e il più alto indice di sprawling dell’abitato sul territorio tra le capitali europee.
– si sta parlando anche della sede di un patrimonio artistico unico, che è messo a rischio da elevatissimi livelli di inquinamento (pur in un contesto morfologico e meteoclimatico favorevole alla dispersione degli stessi e non penalizzante come per le città padane, ad esempio) ed è reso poco fruibile a tutti quei visitatori che di quei monumenti sono padroni dallo stesso traffico, che impedisce, più dei fili dei tram e dei filobus, di attraversare le strade o passeggiare sui marciapiedi (mai liberi dalle auto in sosta) o muoversi con facililità.
Perché, pur partendo da presupposti giusti, non si è capaci di ragionare in maniera scientifica tentando di screditare proprio il mezzo pubblico su rotaia che resta l’unica soluzione per unire la sostenibilità dello sviluppo urbano alla tutela del patrimonio artistico, della salute dei cittadini e dell’ambiente?