Un pellegrinaggio a Olimpia può sostenere la rinascita di una città? La risposta, guardando a tutte le esperienze passate, è un secco no. Non esiste alcun “grande evento” che possa, di per sé, costituire nemmeno lontanamente lo spunto per il rilancio di un’economica locale in crisi: né Olimpiade, né Esposizione Universale, né Mondiale di Calcio o qualunque grande evento sportivo. Nel 1960 le Olimpiadi furono una finestra del mondo sul boom italiano: terminata la fatica della ricostruzione il Paese era fresco, pieno di speranze e di idee, progetti. E Roma ne era l’emblema con la dolce vita e l’esplosione demografica delle periferie. Nel 1988 Seoul rimarcava con le Olimpiadi il suo ingresso tra le grandi capitali mondiali alla guida della tigre asiatica coreana. Barcellona nel 1992 era pronta ad aprirsi al mondo: affrancatasi dalla asfissiante cappa di immobilità del periodo franchista era un laboratorio urbanistico unico al mondo, tutt’ora oggetto di studio nelle facoltà universitarie. E Atene nel 2004, seppure con noncuranza delle carenze strutturali, voleva proporsi come modello di miracolo economico.
Per quanto riguarda le Esposizioni, a Budapest, delle strutture del 1896 rimangono vari complessi architettonici in zona “Piazza degli Eroi”, dove è possibile seguire la storia dell’architettura ungherese (romanico, gotico, rinascimento e barocco). Ma la capitale asburgica era al culmine del suo splendore. Parigi conserva ancora la Torre Eiffel dell’Exposition Universelle del 1889: un evento che consacrava l’importanza della borghesia francese del tempo. A Milano, nel 1906, l’Esposizione portò la Fiera e una ristrutturazione del Parco Sempione che ancora è valida, come elemento urbanistico fondamentale. Ma Milano si apprestava ad aprire, con ritardo, la Rivoluzione Industriale italiana. L’Isla de la Cartuja ricorda ancora l’Expo 92 di Siviglia, ma qui, per esempio, l’abbandono attuale di quelle aree è sintomo della mancanza di stimoli preesistenti che la città sta tuttora cercando.
Perché di per sé, né Olimpiade né Expo possono essere analizzati come eventi chiusi, produttori di fortune o sventure. In un contesto produttivo efficiente si riveleranno un volano in più per pigiare con maggiore efficienza l’acceleratore di una marcia già avviata. In un contesto di stagnazione si rivelano un volo pindarico. E questa è leggera tanto generale da potersi assumere ad assioma. Barcellona non ha attraversato a vele spiegate gli anni Novanta per le Olimpiadi del 1992, così come Atene non è entrata in crisi per le Olimpiadi del 2004. Olimpiadi che, anzi, hanno portato alla città una rete di metropolitane efficienti e un corridoio tranviario sul lungomare di Glyfada. Con i suoi 4milioni di residenti, la capitale greca si avvicinava al nuovo millennio con appena 24 km di linea ferroviaria suburbana (Kyfissia-Pireo) identica alla ferrovia Roma-Lido, utilizzata come metropolitana. Città caotica e strozzata da un’espansione totalmente incontrollata e una mobilità completamente affidata al mezzo privato (primo déjà vu). Le Olimpiadi sono state l’occasione per accedere a finanziamenti altrimenti inaccessibili e velocizzare un’infrastrutturazione urbana che la città avrebbe necessitato da tempo. E che forse è arrivata troppo tardi.
Ma il default greco – e i tecnici lo sanno bene – non è dovuto al denaro impiegato per costruire opere (la corruzione greca, seppure dilagante, non è riuscita a produrre gli overload romani) unica fonte per sostenere un’economia in crisi in tempi recessivi. Altri sono i circoli viziosi che assorbono gli investimenti senza generare alcun ritorno per la comunità: un km di metropolitana genera spostamenti, moltiplica le opportunità, offre possibilità. Decrementa tutte le voci che pesano di più per un’amministrazione pubblica: sanità, spesa assicurativa e criticità nello spostamento di cose e persone. Il budget di Atene 2004 è stato di 8.952 milioni di € di cui 7.202 milioni di finanziamento statale. Le opere infrastrutturali hanno inciso per 2.861 milioni di € (39,7%) mentre gli impianti sportivi (tra cui il famoso stadio di Calatrava) hanno richiesto 2.153 milioni di € (29,9%). Le spese promozionali e quelle di ospitalità per atleti, giornalisti e rappresentanze sportive è stato di 1.108 milioni di € (15,4%). I restanti 1.080 milioni sono stati impiegati in sicurezza e opere compensative. Sicuramente il bilancio, a fronte di una spesa 5.014 milioni di € in opere civili ha visto 4.340 milioni in servizi immateriali e sicuramente poco chiari. Se il budget finale è stato appesantito da almeno 2.140 milioni di € in corruzione (stima Ministero degli Interni) va sottolineato quanto sia stato importante come volano per il completamento di opere per 20.900 milioni di €: il nuovo aeroporto internazionale (2.500 milioni); le linee 2 e 3 della metropolitana (2.000 milioni); le autostrade per Pathe ed Egnatia (4.300 milioni); la suburbana Atene-Halkida (1.500 milioni). Il vero scandalo che ha avuto luogo ad Atene è che le opere che generalmente sono presentate come “collegate all’Olimpiade” non sono state pagate con fondi governativi, tantomeno con finanziamenti del Comitato Olimpico ma con Fondi di Sviluppo erogati a pioggia dalle UE. Gran parte di quei 20.900 milioni in infrastrutture sono stati sostenuti dal Programma Quadro II e III (18.500 e 26.600 milioni di € rispettivamente), erogati in forma di finanziamenti agevolati dalla Banca Europea degli Investimenti.
Nonostante l’entità degli investimenti l’UE non è tenuta a stilare un elenco aggiornato in tempo reale delle opere che stanno assorbendo quei finanziamenti. I controlli sono eseguiti a posteriori quando ormai i fondi sono stati erogati, e del fuoco della corruzione resta solo la cenere. Il III Programma Quadro è stato largamente disatteso dalla Grecia che, anche per carenza strutturale di controlli (secondo déjà vu) ha lasciato scorrere un fiume di denaro per alimentare tutto un ampio bacino che sulla corruttela fondava la sussistenza politica. Se una quota di “dispersione” è fisiologica in ogni Paese (tra il 7 e il 10%) in Grecia ha raggiunto un livello tale da far suonare più di un campanello d’allarme: già nel 2006 la Commissione Europea ha cercato di recuperare dal Governo greco 2.900 milioni di € dei fondi erogati perché palesemente impiegati in overload ingiustificati (leggasi spese ingiustificate e – anche a posteriori – ingiustificabili).
Così, per le troppe somiglianze che la vicenda ateniese mostra con le vicissitudine italiche e, in particolar modo, romane, ha ben fermare la partenza del carro olimpico. Anche se non conosciamo le motivazioni ufficiali le poche dichiarazioni lasciano trasparire la poca chiarezza nei bilanci e, soprattutto, le eccessive aspirazioni nell’evento scaccia-mali.
La fase II parte anche da qui: Roma è una metafora della Nazione. Se l’economia capitolina è stanca e affaticata, sotto il peso dello spread e della asfissiante congiuntura economica mondiale non sarà l’Olimpiade a fornire una via di uscita. Perché la città non è smart e un buon progetto olimpico – e questo non lo era – non la renderà tale.
Una città, e lo si è detto tante volte, che persevera nel guardare ai rifiuti come scarti da nascondere sotto il tappeto delle discariche non è efficiente. Una città che è grande quanto una regione – che non ha un piano industriale e produttivo in genere per il lungo periodo non è efficiente. Una città che continua a progettare infrastrutture viarie, quando non ha che briciole di trasporto su ferro e anche male esercito, non è efficiente. Una città che punta tutto sul turismo (attenzione che il turismo, in tempi di crisi, non può sostenere un’economia: lo insegnano la Grecia e la Catalogna) ma poi trascura i suoi monumenti, abbandona il proprio fiume, e soprattutto, non escogita delle modalità perché i turisti si possano spostare senza ricorrere a lunghe camminate oppure dispendiosi spostamenti in pullman non è efficiente. Una città dove tutta la mobilità è fondata sul trasporto privato non è sostenibile: socialmente ed economicamente. Perché se per qualunque motivo non si può prendere la macchina, le persone non circolano, le merci rallentano, le idee non circolano e le opportunità non nascono. L’Olimpiade è una finestra: chiedere al mondo di affacciarsi a vedere una città che arranca non sarebbe stato opportuno.
Al Governo spetta ora la fase II: perché se il risanamento non può che avere luogo nel cuore dello Stato la ripartenza dell’economica non può che avvenire localmente, di città in città. E le città ripartono se diventano smart (www.smart-cities.eu) ovvero efficienti: un nuovo Piano Nazionale dei Trasporti così come un Piano Nazionale Energetico possono segnare la direzione a cui le aree metropolitane dovranno adeguarsi con adeguati Piano del Trasporto di Massa. Non c’è più tempo per perdersi in proposte pompose e malposte: è il momento delle buone idee.