Il 17 giugno 2022 s’é concluso in Parlamento il dibattimento per la modifica dell’Ordinamento di Roma Capitale: in sintesi, si tratta della proposta di legge costituzionale che modifica l’articolo 114 della Costituzione riconoscendo l’autonomia normativa, amministrativa e finanziaria di Roma Capitale (1, sic et simpliciter la capitale italiana ufficialmente si porta dietro l’attributo come accade per le capitali di nuova fondazione) a cui sono attribuiti poteri legislativi propri. Il disegno di legge è stato approvato il 19 aprile 2022 dalla I Commissione Affari costituzionali della Camera, in sede referente, e conta due articoli: il primo prevede che all’articolo 114 della Costituzione sia aggiunto un comma, in cui si afferma che “Roma Capitale dispone di poteri legislativi definiti nelle materie di cui all’articolo 117, terzo e quarto comma”, quelle di competenza esclusiva appunto delle Regioni e quelle di competenza concorrente tra Stato e Regioni esclusa la tutela della salute e le altre materie stabilite d’intesa con la Regione Lazio e lo Stato. Il secondo articolo stabilisce che il trasferimento dei poteri legislativi a Roma Capitale decorre dopo due anni dall’entrata in vigore della presente legge costituzionale. Fattivamente, con l’approvazione della legge l’Amministrazione di Roma Capitale acquisirà potere legislativo di secondo livello – parimenti con la Regione Lazio – potendo conferire con legge le proprie funzioni amministrative ai municipi.
Il Lazio e Roma: un rapporto troppo sbilanciato
La storia del Lazio – come territorio, l’entità amministrativa arriverà solo nel 1948 con l’introduzione delle Regioni nell’ordinamento repubblicano – è da sempre un tutt’uno con la storia di Roma, in quanto sede del potere temporale della Chiesa cattolica e, non da meno, per il significato fortemente simbolico e ideologico che la città venne a esercitare sugli Stati preunitari prima e sul nuovo Stato italiano poi.
La perimetrazione della nuova Regione Lazio, nel 1948, ricalca quella delle Delegazioni del circondario romano dello Stato Pontificio (in toni del rosso nella carta sottostante), quelle di Campagna e Marittima (Velletri, Frosinone e comune di Pontecorvo) e la Conca reatina.
Ma se le altre regioni ricalcano in gran parte precedenti ripartizioni di territori omogenei, per ordinamento e statuto, il Lazio integra territori extranazionali rispetto alla ripartizione preunitaria: il reatino ingloba il distretto duosiciliano di Cittaducale, la parte meridionale della nuova regione incorpora invece due zone estremamente importanti e connotate della provincia duosiciliana della Terra del Lavoro. Si tratta del distretto di Gaeta e del distretto di Sora.
Sebbene rimarcare queste disomogeneità possa apparire passatista oggi, è opportuno rimarcare che i distretti meridionali del Circondario di Roma – Frosinone (la cosiddetta Ciociaria) e Velletri – e i circondari di Gaeta e Sora furono separati da un confine nazionale piuttosto netto per 1118 anni (cioè dal rafforzamento del Ducato di Benevento con Arechi II, nel 758 al 1870) a fronte dei 152 anni dell’unità nazionale. Le due parti del reatino, quello pontificio e quello di Cittaducale, furono separati da un confine nazionale per 643 anni (cioè dal Giustizerato d’Abruzzo voluto da Federico II nel 1233 alla presa di Roma). Questa eterogeneità, nonostante i 42 anni di operato della Cassa per il Mezzogiorno, si è protratta tal quale nella struttura regionale contemporanea.
Un differenziale così forte nella spesa pubblica e nei servizi locali non trova pari nelle altre regioni. E si palesa nella qualità della vita.
Il ruolo simbolico di Roma, l’inedia del potere secolare della Chiesa nell’infrastrutturare il territorio dello Stato Pontificio (2) mista all’avversione per la nascita di una classe mercantile locale hanno sterilizzato sul nascere ogni struttura produttiva locale cristallizzando i centri urbani tra il confine con la Toscana e Napoli al ruolo di isolamento e sfondo paesaggistico da Grand Tour. Questa distopia territoriale si è amplificata con la vorticosa crescita demografica (3) della nuova capitale (da 212.000 abitanti nel 1871 a 2.871.000 abitanti nel 1971) divenuta metropoli senza mai essere diventata città. Ma anche il Lazio non ha mai acquisito un proprio equilibrio territoriale: basti pensare che, esclusa la ex Provincia di Roma, dalla formalizzazione dei confini regionali tutte e quattro le altre province hanno visto una costante e progressiva riduzione dell’estensione delle reti ferroviarie e tranviarie extraurbane (4). Nel periodo tra il 1948 e il 2022 ci sono certamente state delle opere di riqualificazione, ma non è stata aggiunta nemmeno una nuova stazione ferroviaria rispetto allo scenario che si aveva nel 1948 oppure nel 1980: solo chiusure. Relativamente diversa la situazione per le infrastrutture stradali anche se la maggior parte degli interventi hanno riguardato la realizzazione o il potenziamento della maglia radiale verso Roma: fanno eccezione la Strada statale 675 Umbro-Laziale tra Terni, Orte e Viterbo (ancora non completata verso Civitavecchia) e la serie di superstrade (non tutte completate) convergenti da Frosinone, Cassino e Avezzano sulla città di Sora (progetto fortemente voluto dalla DC di Giulio Andreotti, perché simbolicamente legato al sorano in quanto luogo natio di Cicerone). La Strada Statale 156 dei Monti Lepini, che collega Frosinone a Latina e sopporta un traffico di 24.500 veicoli/giorno (dato 2019) è ancora in attesa di essere riqualificata.
Tornando alla rete ferroviaria è dagli anni Settanta che non c’é elezione regionale o piano di mobilità che non tiri fuori dal cassetto progetti come la linea Orte-Capranica-Civitavecchia, il ripristino della Gaeta-Minturno-Sparanise almeno tra Gaeta e Formia come metropolitana, la realizzazione di una linea tangenziale almeno per le merci tra la Valle del Liri, il Cassinate con gli impianti automobilistici FCA e il relativo indotto e il porto di Formia. Salvo restare puntualmente tutto sulla carta.
Forme di governo delle altre capitali europee
Con poche eccezioni tutte le capitali dell’Europa occidentale e centrale hanno status autonomo con potere legislativo. La Comunità Autonoma di Madrid è una delle diciassette comunità autonome della Spagna: con la sua estensione (8.030 km quadrati) incorpora completamente l’area metropolitana e funzionale madrilena.
L’Île-de-France racchiude l’area metropolitana parigina e parte della prima corona rurale del bacino parigino (12.011 km quadrati): a differenza di Madrid esiste una certa tensione amministrativa in tema di pianificazione del territorio e programmazione dei servizi con la formazione della Métropole du Grand Paris che si propone come soggetto interurbano con ampi poteri di autonomia. Attualmente la pianificazione strategica è affidata all’Île-de-France mentre Grand Paris si pone come soggetto di programmazione dei servizi e gestione delle reti.
Berlino (891 km quadrati) è un land autonomo con un proprio governo e autonomia finanziaria. Il land del Brandeburgo occupa la vasta pianura intorno alla metropoli e si estende per 29.654 km quadrati: tra i due land non ci sono sovrapposizioni o potenziali conflittualità ad eccezione della programmazione dei servizi comuni (ad esempio le relazioni ferroviarie regionali) solitamente risolte con l’intervento del Fondo federale.
Anche Vienna è regione autonoma (415 km quadrati) con poteri di pianificazione e gestione del corrispettivo regionale delle entrate fiscali. Similmente al caso di Berlino, la regione della Niederösterreich (19.579 km quadrati) occupa l’area metropolitana esterna della capitale e lo spazio rurale circostante.
Londra fa storia a sé in quanto in Inghilterra (divisione del Regno Unito) non esistono né regioni né province. L’Ente della Grande Londra, appena istituito, è la prima esperienza inglese di aggregazione intercomunale su uno spazio metropolitano e si occuperà di pianificazione territoriale e programmazione dei servizi con parziale autonomia fiscale.
Nell’Europa settentrionale hanno autonomia regionale Stoccolma (regione di 6.519 km quadrati), Oslo (città-regione di 480 km quadrati) e Copenaghen (regione di 2.568 km quadrati).
Nell’Europa orientale hanno autonomia regionale Praga (città-regione di 496 km quadrati), Belgrado (distretto urbano di 360 km quadrati), Bucarest (regione autonoma di sviluppo di București – Ilfov (1.866 km quadrati) e Atene (regione autonoma dell’Attica, 3.808 km quadrati).
La proposta: la Regione metropolitana di Roma
La regione metropolitana di Roma dovrebbe coincidere con lo spazio funzionale della città: al riguardo la metodologia Istat dei Sistemi Locali del Lavoro può fornire un valido supporto.
Riprendendo la nostra metodologia degli urbanismi, è possibile accorpare per prossimità del tessuto urbano i comuni definendo quelli che potrebbero essere i nuovi comuni metropolitani.
Ora, si trova la seguente situazione territoriale: la nuova regione metropolitana e la corona esterna (Viterbo, Rieti, comuni montani della Città metropolitana di Roma, Cassinate e parte meridionale della provincia di Latina sono sostanzialmente equivalenti in termini di estensione territoriale.
La Regione metropolitana di Roma ospita però l’87% della popolazione contro il 13% della corona esterna.
E il resto del Lazio?
A fronte di una evidente omogeneità del carattere delle aree esterne, è necessario capire quale entità amministrativa dovrebbe raccoglierle. La prima alternativa è quella di incorporarle seguendo la matrice degli spostamenti pendolari ovvero le attuali funzionalità territoriali (Roma esclusa, naturalmente).
Questo scenario mantiene immutata l’attuale ripartizione nazionale, incorporando il Viterbese e il Reatino all’Umbria e il Lazio meridionale non alla Campania quanto al Molise. Questa scelta, sebbene i flussi degli spostamenti verso Caserta e Napoli siano i più rilevanti dopo quelli verso Roma, nasce dalla considerazione delle sofferenze territoriali già presenti in Campania (si veda il livello dei servizi a Caserta) e dalla debolezza strutturale del Molise: una regione cuscinetto tra Lazio, Campania e Puglia con porti su entrambi i mari potrebbe ricavarsi un ruolo economico e produttivo di tutto rispetto a livello nazionale.
A livello amministrativo la nuova Regione metropolitana avrebbe 42 comuni metropolitani. Le aree esterne manterrebbero invece l’attuale ripartizione.
Tornando alle aree esterne, il secondo scenario è quello di accorpare le aree esterne del Lazio meridionale alla provincia di Caserta.
Esiste un terzo scenario che però richiede di mettere mano alla ripartizione amministrativa di tutto il Centro Italia. È da diversi anni che si parla di un riordino della divisione amministrativa italiana ed è una questione assolutamente valida in termini di miglioramento della funzionalità delle regioni. La Francia con la riforma del 2014 fornisce un esempio paradigmatico anche se non facilmente esportabile (prima di tutto per la differente geografia umana). Nel caso specifico, la creazione di una Regione metropolitana di Roma dovrebbe affiancarsi alla creazione di due macroregioni forti che in un certo senso la bilancino e possano relazionarcisi (possibilmente) alla pari: un eccessivo sbilanciamento dei rapporti di forza tra regioni vicine porta inevitabilmente alla creazione di effetti di colonizzazione territoriale e dipendenza delle aree deboli verso le aree più forti.
La nuova macroregione del Centro unirebbe le aree interne mettendole a sistema con due importati accessi al mar Tirreno (Montalto/Tarquinia e Formia/Gaeta). La macroregione Adriatica, sebbene con locali fisiologiche disomogeneità, permetterebbe di sistematizzare le relazioni esistenti lungo il corridoio adriatico centrale tra le attuali Marche e Abruzzo. Complessivamente due grandi regioni che potrebbero bilanciare il peso della nuova regione metropolitana di Roma senza finirne schiacciate.
In conclusione, è possibile risolvere la distonia amministrativa che lega, ingessandole, Lazio e Roma. Ma per farlo è necessario fare un passo che il legislatore da più di cinquant’anni non riesce a fare (5): basti pensare all’applicazione monca della legge 7 aprile 2014, n. 56 (cosiddetta legge Delrio) sulle aree metropolitane che si è limitata a trasporre alcune province in chiave metropolitana. Con l’esito di avere aree troppo grandi e disomogenee (le valli alpine del Piemonte centrale che di metropolitano hanno ben poco) oppure mozze, con la Città metropolitana di Milano che esclude Monza e la Brianza e quella di Napoli che non comprende l’Agro aversano; e poi territori pienamente metropolitani come quelli di Bergamo, Brescia, Verona, Padova, Rimini, Pescara, Caserta e Salerno (6) che restano esclusi dal novero delle Città metropolitane quindi, venute meno le province (a proposito, che fine hanno fatto le province?), senza un ente che ne coordini lo sviluppo d’Area vasta.
Quale migliore inizio che l’occasione offerta dalla riforma dell’ordinamento di Roma Capitale?
Note
- “Roma Capitale” è l’ente territoriale speciale, dotato di particolare autonomia, che amministra il territorio comunale della città di Roma in quanto capitale della Repubblica Italiana. È istituito nel 2010 in attuazione dell’articolo 114 comma 3 della Costituzione, in piena sostituzione del preesistente comune di Roma, lasciando invariati i confini amministrativi e il livello di governo.
- Nell’equilibrio secolare tra Clero e nobiltà capitolina non c’è mai stato spazio per lo sviluppo di una classe mercantile e quindi della borghesia. Se la Chiesa esiste per volontà divina non necessita di alcuna conferma terrena: le forme di sussistenza e, all’occorrenza, difesa arriveranno dall’esterno grazie ai rapporti che il Papato è riuscito a garantirsi sin dal Sacro Romano Impero con le grandi potenze cattoliche straniere in cambio dell’investitura divina.
- Nel 1854 dopo Londra (2,37 milioni di ab.) e Parigi (1,053 milioni di ab.) la classifica delle più grandi città europee vedeva Napoli al 7° posto (416.675 ab.) seguita al 19° posto da Palermo (180.000 ab.) e quindi Roma, al 20° (172.332 ab.). Milano era al 23° posto (151.438 ab.) seguita al 26° posto da Torino (135.000 ab.) e, al 28°, da Venezia (126.738 ab.).
- Sul periodo 1948-1980: -28% nella provincia di Viterbo; -14% nella Provincia di Rieti; -48% nella Provincia di Frosinone; -31% nella Provincia di Latina.
- L’ultima legge urbanistica nazionale è nientemeno che il decreto ministeriale 1444 del 2 aprile 1968.
- Tutte con oltre 300.000 abitanti nell’area urbana de-facto, Bergamo con 834.701 ab. e Padova con 464.422 ab. (si veda al riguardo Istat, Forme, livelli e dinamiche dell’urbanizzazione in Italia, 2017): perché queste città 8 aree urbane non siano nel novero delle città metropolitane resta un mistero.
Risorse
Repositorio delle mappe PDF e delle tabelle dell’articolo
Banca d’Italia, Economie regionali N. 12: il Lazio
Istat, repositorio sui Sistemi Locali del Lavoro
Istat, repositorio dati economici e sociali per le Province italiane