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Area C: primo passo di una rivoluzione?

18 Gennaio 2012
Reading Time: 3 mins read
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Area C: primo passo di una rivoluzione?
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Entrata da poco in vigore, l’Ecopass-2012 di Milano o “Area-C”, rappresenta una vera e propria rivoluzione nell’Italia della mobilità: da pollution-charge (si paga in base a quanto si inquina), a una congestion-charge (tutte le auto concorrono al traffico, quindi pagano).
La tassa di congestione (congestion-charge, appunto) sale alla ribalta a Londra nel 2003 e da allora, visto il successo, è sopravvissuta alle varie giunte. La tariffa è di 10 £ (12€)  al giorno per ogni veicolo interessato che viaggi nella zona a pagamento tra le 7:30 del mattino e le 18; chi trasgredisce al pagamento deve pagare una multa. Viste le fisiologiche polemiche che stanno accompagnando il provvedimento milanese, diciamo subito che i 5€ di Milano non sono certo i 12€ di Londra. Londra ha una dotazione infrastrutturale di tutto rispetto, ma, numeri alla mano è vistosamente più grande di Milano. Londra ha un’area urbana di 11,7 milioni di abitanti, Milano di 4,5. Londra si estende per 3.920 kmq, Milano per 1.878. Londra ha un raggio urbano di 37 km, Milano 24. In sostanza sì, maggiore dotazione di TPL, ma anche maggiori distanze da percorrere.
L’obiettivo della tassa non è quello di mitigare direttamente le emissioni, come molti pensano, riducendo le autovetture in circolazione, ma disincentivare l’uso dell’automobile. E siccome il 70% dei flussi, in una grande area metropolitana è diretto verso l’area centrale, ostacolarne l’ingresso a questa rappresenta un elemento fortemente disincentivante alla scelta del mezzo proprio negli spostamenti quotidiani.
Il bacino padano presenta tutte le caratteristiche necessarie per avere un perfetto ristagno degli inquinanti: pianura chiusa per tre lati da un’alta catena montuosa e apertura su un bacino interno poco profondo (l’Adriatico settentrionale). Propensione alla scarsa ventilazione: nei periodi di tempo stabile, in cui un’alta pressione ostacola gli spostamenti delle masse d’aria a grande scala, la circolazione verticale tra gli strati d’aria viene impedita. L’irraggiamento solare e il suolo freddo favoriscono le inversioni termiche (la temperatura aumenta procedendo verso l’alto invece che diminuire): si crea uno strato di aria fredda e pesante che è un vero e proprio tappo verso gli strati superiori dell’atmosfera. Gli inquinanti emessi dagli impianti industriali, dalle centrali di riscaldamento e dai veicoli restano intrappolati accumulandosi di giorno in giorno.

Fig. a lato. Previsioni della concentrazione areale di PM10 per il 18 gennaio (fonte ARPA): si noti l’estensione delle aree verdi che indicano valori superiori ai 100 mg per metro cubo contro i 50 della normativa (e i 40 consigliati dall’OMS).

Con questa configurazione geomorfologica si può ben dire che la Pianura Padana è il luogo peggiore per ospitare una metropoli, figuriamoci una regione metropolitana. Da Torino a Trieste con propaggini che si estendono a Lugano e Bellinzona (Svizzera), Nova Gorica (Slovenia) e Koper/Capodistria (Croazia) si contano 17,3 milioni di abitanti su  38.706 kmq di suolo urbanizzato. Se si considerano anche l’Emilia-Romagna e la costa ligure, si contano 24,7 milioni di abitanti su 59.135 kmq di superficie. Si tratta del 40% della popolazione del Paese concentrata nel 19% del territorio.
Come diminuire le emissioni migliorando la qualità dell’aria, senza avere quella salvifica ventilazione di cui altre grandi aree metropolitane come Londra e Parigi possono godere? Con interventi di miglioramento tecnologico del sistema produttivo e residenziale ma, soprattutto, con la realizzazione di una rete diffusa e capillare di trasporto pubblico locale.

Fig. a lato. Evoluzione della media giornaliera delle concentrazioni (fonte ARPA). La linea rossa indica il PTS, la linea rosa il PM10. Il decremento delle concentrazioni di polveri totali (di cui i PM10 sono circa l’80–85 %) è attribuibile: all’adozione di migliori tecnologie (D.P.R. 203/88) per le industrie e il riscaldamento; al trasferimento delle industrie in aree esterne all’area urbana; alla riduzione delle emissioni di inquinanti primari (ossidi di zolfo e ossidi di azoto) con l’adozione delle normative emissive EURO; al rinnovo del parco auto circolante.

Una rete che includa servizi ferroviari interregionali, relazioni suburbane non sono per l’area milanese ma anche per Torino, Brescia, Verona e l’area centrale veneta. Metropolitane, tranvie urbane e interurbane. E soprattutto una rete di corridoi metropolitani per il trasporto pubblico: busvie e filovie realizzate in sedi separate e protette da distribuire nelle aree metropolitane. L’unica soluzione in luoghi, come la Brianza o l’area centrale veneta, dove l’edificazione ha privilegiato le medie densità (nella seconda cintura parigina le densità superiori del 280%; nella cerchia esterna della Grande Londra le densità sono superiori del 220%).
Se la rivoluzione delle abitudini è iniziata, aspettiamo ora la rivoluzione del trasporto pubblico, con l’adozione (finalmente) del primo PIANO METROPOLITANO DELLA MOBILITÀ  che guardi non a un singolo comune ma alla città – Milano, ma anche Torino, Verona e l’area Padova-Venezia – nella sua vera dimensione.

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