Oggi si tende a dare per scontato, quasi naturale, il passaggio dagli sferraglianti e obsoleti tram ai nuovi e fiammanti autobus e soprattutto all’auto privata avvenuto alla metà del Novecento.
– Di Andrea Spinosa –
In realtà per vincere le leggi della fisica e dell’economia energetica – il motore elettrico è sempre stato più efficace di entrambi i cicli termodinamici, otto e diesel – si dovette procedere con un vero e proprio piano organizzato.
È stato un complotto che ha mutato l’aspetto dei paesaggi urbani nel Nord America e in Europa occidentale (resta esclusa solo l’allora Repubblica Federale di Germania). Il capo di General Motors Alfred P. Sloan ha creato, nel 1922, un gruppo di lavoro con l’incarico di minare e sostituire il tram elettrico. La prima azione del gruppo è stata la messa in strada su una via centrale di Los Angeles, di un nuovo prototipo di autobus che seguiva lo stesso identico percorso di uno streetcar. Il progetto fu accompagnato da una campagna mediatica senza precedenti: il bus era sempre più veloce del tram, anche solo di qualche minuto. L’esito della gara era scontato: le immagini seguivano lo standard di quello pubblicità che mostrano il prima e dopo l’applicazione di una miracolosa crema antirughe. Prima, la modella è struccata e in oscurità. Dopo è truccatissima e in piena luce.
La linea di tram fu chiusa alla fine del primo mese di convivenza. Al tempo vi erano centinaia di linee tramviarie a Los Angeles, così il caso della chiusura di una di esse appariva un fatto degno di nota. I primi segni delle grandi rivoluzioni passano spesso inosservati.
All’inizio degli anni Venti si assisteva al boom dell’industria tramviaria. Negli Stati Uniti esistevano qualcosa come 1.200 compagnie tramviarie e ferroviarie a gestire una rete di circa 50.000 km. Tutte insieme arrivavano a trasportare annualmente tra i 12 ed i 15 miliardi di passeggeri. Nella sola Los Angeles la rete tranviaria misura 1.460 km e trasportava giornalmente il 70% dei pendolari. Gli streetcar dominavano la scena urbana, ma la concorrenza affilava le unghie. Negli stessi anni Venti il numero di automobili supera i 20 milioni. Ma mentre montava la pressione per l’utilizzo dell’automobile, il tram rimaneva la tecnologia più importante di trasporto pubblico urbano.
Questo momento storico si rivelerà cruciale nella storia della mobilità moderna. General Motors è determinata, per prima, all’eliminazione della concorrenza. In qualità di seconda compagnia mondiale dopo la Ford, GM ha offerto ai politici municipali delle Cadillac gratis, affinché approvassero emendamenti favorevoli alla compagnia. GM stringe degli accordi con le compagnie di trasporto merci su ferrovia che si occupano del trasporto degli autoveicoli usciti dagli stabilimenti. La stessa GM esercita tutta la pressione finanziaria originata dalle sue finanze in vorticosa crescita sulle banche nelle piccole comunità, perché chiudessero i cordoni della borsa alle compagnie di trasporto locale.
Nel giro di qualche anno è la stessa GM a ordinare di ridare respiro a quelle compagnie ridotte alla fame. Ma ad una condizione: che sostituivano i loro percorsi con autobus, magari di GM.
GM fonda nel 1932 la United Cities Motor Transportation (UCMT), per l’acquisto di compagnie tramviarie in aree urbane e le riconverta all’esercizio su gomma. In seguito all’acquisto delle reti tramviarie, la stessa UCMT procede alla rimozione di rotaie e rete aerea. Una volta completata la conversione, la UCMT rivende l’esercizio delle reti di autobus a prezzi vantaggiosi. Unica clausola, che per trent’anni non venissero riconvertite a tram.
In particolare si chiedeva che “il parco rotabile adottato non usasse combustibile o altri metodi di propulsione alternativi, a eccezione di diesel o benzina”. La vantaggiosità dei contratti era spiegata dall’altra clausola favorevole a GM come produttrice dei nuovi autobus.
Nell’anonimato della piccola Galesburg nell’Illinois, la UCMT chiude la sua prima acquisizione nel 1933. Aveva già smantellato le reti tramviarie in tre centri urbani, prima di ricevere il richiamo ufficiale dell’American Transit Association. A seguito di quel richiamo, nel 1935 GM scioglie la UCMT. GM cambia strategia: non segue più una sola linea alla luce del sole ma moltiplica la sua azione sia sul mercato che in chiave di lobbying politica.
Nel 1936 GM si unisce con la Greyhound per formare il National City Lines. Nel 1938 le due società collaborano con la Standard Oil della California per creare la Pacific City Lines. Nel 1939 Phillips Petroleum e Mack Truck si uniscono alla National City Lines.
Nel 1943 nasce American City Lines: obiettivo le grandi metropoli delle due coste. È qui infatti che la strategia di conversione coatta di GM trova gli ostacoli maggiori. Nelle aree urbane più grandi le linee dei tram erano spesso di proprietà delle compagnie elettriche, le quali con i guadagni della vendita dell’energia elettrica, potenziano la rete e confermano il loro monopolio in un circolo tutto sommato virtuoso. Le compagnie elettriche beneficiano di sconti fiscali che gli permettono di assorbire i deficit del servizio tranviario.
Mentre negli Stati Uniti iniziava la caccia al trasporto elettrico in Europa la rivoluzione muoveva i primi timidi passi: sarebbe difficile da spiegare in altri termini sennon quelli di ricevere la moral suasion di un Henry Ford che faceva la spola tra Europa e Detroit, il monito pronunciato da Mussolini di “togliere dalla vista quegli orrendi mezzi sferraglianti” indicando i tranvetti di Piazza Venezia. Si era in tempi di autarchia e il trasporto elettrico era l’unico modo di aggirare il salatissimo prezzo delle sanzioni sulla vendita petrolio ai Paesi dell’Asse.
Intanto GM punta dritta a Washington. La sua azione trova in questo circolo elettricità-tram una muraglia apparentemente invalicabile. Tra il 1927 e il 1931 produce qualcosa come 6.000 pagine di dossier per il Congresso, sottolineando il danno erariale conseguente a questi sconti. Erano anni in cui nessuno si occupava di inquinamento ambientale e danni alla salute dalla combustione – perlomeno non al Congresso. La strategia di GM fu un successo.
Il Public Utility Holding Company Act del 1935 sostanzialmente vietò il cumulo di servizi per aziende di pubblico esercizio. Le compagnie elettriche non potevano svolgere servizi di mobilità e viceversa. Le compagnie erano troppe per accordarsi in una reazione condivisa: la forza lobbystica di GM, con l’appoggio di Ford e Chrysler era sproporzionata.
Se non puoi vincere il tuo nemico, contratta. Le compagnie, che in precedenza avevano rifiutato le avance di GM, accettano le proposte d’acquisto: ma ora è GM a tenere il coltello per il manico e a gestire la trattativa.
In appena 19 mesi GM fa letteralmente a pezzi 148 km di rete tramviaria nella sola Manhattan. Dopo aver trasformato con successo il sistema tramviario di New York, GM & co. puntano a Tulsa, Philadelphia, Montgomery, Cedar Rapids, El Paso, Baltimora, Chicago e Los Angeles. Sono 45 le città che perdono le proprie streetcar network a favore di fiammanti autobus.
Nel 1954 il 90% della dote ferroviaria urbana statunitense è stato letteralmente mandato al macero.
GM nega che ci sia mai stato un complotto. Alcuni sostengono perfino che GM abbia salvato il traffico pubblico. Ma le prove ci sono e, con le mutate sensibilità, assumono contorni imbarazzanti quando non allarmanti. Edwin Black nel libro “Internal Combustion”, racconta ad esempio che GM ed altre compagnie minori sono state condannate dal Dipartimento di Giustizia, da una Commissione del Senato e diverse corti (da quella di una insignificante contea del Nebraska alla Corte Suprema) per pratiche anti-trust, parte di un premeditato complotto internazionale. In una sezione dell’arringa del 1947, i pubblici accusatori davanti al Grand Jury hanno dichiarato:
“Con inizio attorno al 1 gennaio 1937, poiché la data esatta è sconosciuta al Grand Jury, inclusa la data del rinvio di quest’Accusa, i difensori, assieme ad altre persone sconosciute al Grand Jury, sono stati coinvolti coscientemente e in forma continuata in un accordo sleale e illecito parte di un complotto per l’acquisizione di un reale interesse finanziario in una parte maggioritaria delle compagnie che forniscono il servizio di trasporto locale in varie città, grandi e piccole, e contee di alcuni stati degli Stati Uniti per eliminare ed escludere la concorrenza nella vendita degli autobus, dei derivati del petrolio, dei pneumatici e delle camere d’aria alle compagnie locali di trasporto in possesso o controllate oppure nelle quali la National City Lines aveva un reale interesse finanziario.”
Il verdetto fu di colpevolezza.
Eppure la condanna per aver distrutto un modello di trasporto di massa fino ad allora efficiente è stata valutata in una multa di 5.000 dollari. Non proprio un deterrente per una compagnia che allora valeva milioni di dollari.
Dopo il verdetto di colpevolezza del 1947, la National City Lines sospende le sue attività anti-tram: ma ormai il processo viaggiava da solo. È sul modello statunitense che in un ventennio si smantellano il 100% delle reti spagnole e inglesi, il 97% di quelle francesi, l’85% di quelle italiane.
E in Italia?
“Voi toglierete dalle strade monumentali di Roma la stolta contaminazione tranviaria, ma darete modernissimi mezzi di comunicazione alle nuove città che sorgeranno, ad anello, intorno alla antica.”
dal Discorso di Benito Mussolini, in Campidoglio, il 31 dicembre 1925
Dunque le parole pronunciate nel 1925 da Mussolini durante la cerimonia d’insediamento del Cremonesi a capo del Governatorato – organismo amministrativo direttamente dipendente dal Ministro dell’Interno, carica sempre ricoperta dallo stesso Mussolini – si riassume il programma del duce per il trasporto pubblico di Roma e non solo.
Queste erano le direttive del capo del fascismo (sovente tutt’altro che autocratico), che la potenziata struttura tecnologica denominata dal 1927 “Azienda Tramvie e Autobus del Governatorato” si accingeva a realizzare. E negli anni Trenta, il regime riuscì davvero a dare volto alla città fascista, concretizzando in forme monumentali e percorsi urbani consolidati il suo progetto di “Romanità”. Nel decennio che precede la seconda guerra mondiale sarebbero stati portati a termine i grandi piani di isolamento delle emergenze archeologiche, demoliti interi brani di storia urbana per creare gli spazi d’esibizione dei riti di massa del regime. E sarebbe stata completata la “bonifica sociale” dei rioni storici, deportato nelle lontane “borgate” in via di costruzione il popolo, un po’ anarchico e irruento, dai mille mestieri poveri, che li abitava da secoli. A tutto ciò fu dunque funzionale la “rivoluzione” del traffico partita il 1 gennaio 1930, quando “venne attuata, in modo simultaneo, una completa trasformazione dell’esercizio, consistente principalmente nella sostituzione nel centro della città delle tramvie con autobus”: già nel 1927 era stata riacquisita dall’A.T.A.G. l’accresciuta rete degli autobus che nel 1924 era stata appaltata dall’amministrazione Cremonesi alla privata “Società anonima trasporti Ugolini”.
Il ruolo della grande industria – specie quella automobilistica – nel finanziamento dei regimi europei della prima parte del Novecento è cosa nota. Ma l’interesse di un settore come quello dell’automobile – e della locomozione su gomma – andava oltre: l’obiettivo era costruire un quadro esigenziale che avrebbe avuto nello sviluppo della rete stradali – e quindi del mezzo privato – la più ovvia delle risposte.
Al di là della connotazione politico-ideologica era inevitabile che il tram, in particolare, finisse con il rappresentare quel pericolo comunista di un bene condiviso e accessibile a tutti, pertanto da eradicare senza sé e senza ma. Il tram era l’unico concorrente: la ferrovia sulla lunga distanza non è mai stata concorrenziale con l’auto ma sostanzialmente complementare. Lo sviluppo del trasporto su gomma, invece, trovava nei servizi pubblici concessi una via di sviluppo tutt’altro che trascurabile.
Solo in un secondo momento il Piano si dedicò ai filobus: la loro diffusione era cosa europea essendo quasi sconosciuti in Nordamerica. Inizialmente il filobus era anzi il primo sostituto del tram: la convenienza energetica di gasolio e benzina avrebbe fatto il resto. Si pensi al fatto che il trasporto elettrico urbano non gode mai di prezzi favorevoli per l’acquisto dell’energia a differenza del trasporto su gomma e del trasporto ferroviario.
Questa la storia dell’assassinio del tram: dopo quasi cento anni dall’inizio di quel complotto – secondo alcuni era l’ottobre del 1915 quando Durant & co. si resero conto di quello che si sarebbe dovuto fare – mancano ancora alcuni pezzi ma il quadro è chiaro.
Ora che di quelle scelte scellerate stiamo ancora pagando il prezzo ambientale e sociale è più che mai necessario non perdere la consapevolezza di quanto accaduto, degli errori commessi anche nell’aver sottovalutato l’importanza di certe scelte.
Quante volte, ancora, si sentono politici dire “niente rotaie meglio super/metro/fantabus” “leggeri” ed “ecologici”?
Che il tram è “pesante” mentre esistono veicoli “innovativi” sempre “leggeri”.
A prescindere dalle innovazioni il tram resta “ferro” – ma si pensa alla vecchia e pesante ghisa – il nuovo è “alluminio” e leghe in carbonio ultraleggere.
Oppure che i “fili aerei” strozzano il paesaggio (pur essendone parte a pieno titolo).
E che nascondono il cielo.
Ecco, ogni volta che vi capiterà, ripensate a questa storia e alla direzione che quei politici stanno indicando per il vostro futuro, che non ha nulla a che vedere con l’azzurro del cielo bensì con il colore della loro cupidigia.
NERO.
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