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Bonus da 80€? Meglio 150€ con più TPL

4 Giugno 2014
Reading Time: 4 mins read
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Bonus da 80€? Meglio 150€ con più TPL
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Sono state chiarite le modalità di erogazione dell’ormai noto “bonus” in busta paga. Il credito complessivo di 640 euro, 80 euro mensili a partire da maggio, vale per i redditi fino a 24mila euro. Se il reddito supera i 24mila il bonus si riduce gradualmente fino a 26 mila. Il bonus (che non concorre alla formazione del reddito) andrà ai lavoratori dipendenti e assimilati la cui imposta lorda sia superiore all’importo della propria detrazione per lavoro dipendente. Sono oltre 4 milioni i lavoratori che hanno avuto a che fare con gli ammortizzatori sociali nel 2013: questo porterebbe a circa 14 milioni i fruitori del bonus. La spesa di copertura della misura ammonta quindi a circa 9 miliardi di €. Data la previsione incrementale delle misure di mobilità, rendere strutturale questo “bonus” comporterebbe la necessità di aggiungere al bilancio (in attivo o come “mancato introito”) 10 miliardi di € all’anno. Una misura più che giusta che non vogliamo qui contestare ma che vorremo mettere a confronto con un’altra misura. Ci siamo già occupati della spesa media per la mobilità.
La spesa media per la mobilità, secondo il paniere ISTAT è di 350€/mese per famiglia. In particolare (tabella elaborata su questi dati http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCCV_SPEMMFAM):
Secondo l’ISFORT la lunghezza media di un singolo spostamento quotidiano si attesta sui 12,8 km. La percorrenza media pro capite è di 39 km. Le prime 24 aree urbane del Paese generano ogni giorno 46,9 milioni di spostamenti: di questi il 79% avviene su strada con mezzo privato; il 12% con bus, filobus, traghetti; il 9% con trasporto su ferro.
Trasporto Pubblico Locale – e, soprattutto, Trasporto Collettivo in Sede Propria – mantengono una quota modale estremamente bassa e questo ha un costo. Se da una parte le Amministrazioni – ripetendo il mantra “non ci sono soldi” – risparmiano sul finanziamento di nuove opere e sulla gestione ordinaria la mobilità è una necessità alla quale i cittadini rispondono autofinanziandosi, cioè pagandoseli di tasca propria. Tutti contenti? Assolutamente no, soprattutto quando questo autofinanziamento diventa difficile o impossibile.
Veniamo ora alla proposta: poniamo che il Governo metta in programma il finanziamento del trasporto pubblico elettrico (filobus, ferrovie, tramvie, metropolitane e sistemi ettometrici). La spesa potrebbe essere strutturata in 5 miliardi di € all’anno per 5 anni per un totale di 25 miliardi. Si tratta della spesa che servirebbe per mantenere il bonus degli 80€ per 2 anni e mezzo (a patto che non si ampli la platea dei fruitori di questo bonus e quindi che non lo estenda a tutti, altrimenti la spesa sarebbe più alta). I fondi europei che spesso in questo periodo vengono tirati in ballo a dimostrazione dell’inedia della classe dirigente locale sono, per l’Italia, fondi di cofinanziamento. Cosa significa? Significa che vengono erogati sulla base di una proposta adeguata come contributo al massimo del 40%: la parte restante deve essere erogata dall’Amministrazione locale oppure dallo Stato. Ma siccome vige il Patto di Stabilità, non si ampliare la spesa pubblica: ecco che non si può richiedere il (co) finanziamento se non si è in grado di partecipare. Questo è un arcano che sfugge ai più, con la stampa che continua a ripetere una mezza verità. Se è vero che spesso le proposte che dall’Italia arrivano all’UE sono spesso carenti e malfatte, non è questa la causa per cui i fondi previsti per il nostro Paese non sono erogati: è che non possiamo spenderli perché gli Enti Locali italiani non sono “abilitati” a partecipare per la propria parte. Per le infrastrutture la quota del 40% (che vigeva con il VII Programma Quadro) con Horizon potrà essere ampliata sino al 60% (se il progetto ha valore sperimentale e prototipiale). Il restante 40% può essere integrato o con un prestito (agevolato) della Banca Europea oppure con un contributo nazionale. Insomma, non possiamo chiedere dei fondi europei se non possiamo partecipare alla spesa (direttamente oppure chiedendo un prestito). Nella nostra ipotesi, il Governo stanzierebbe 5 miliardi all’anno da spendere in nuove infrastrutture: ammettiamo che si costituisca – magari presso il Ministero dei Trasporti – un centro di coordinamento e controllo delle proposte in cui queste si possano trasformare in richieste di un contributo UE. Mettiamo che questo finanziamento diventi un contributo locale pari al 60%: con il 40% di fondi UE che si potrebbero richiedere (ora sì) la soglia disponibile salirebbe a circa 8,3 miliardi l’anno. Per un totale di 42 miliardi in 5 anni. Ammettiamo che la spesa sia così ripartita:
Entro il medio periodo (5-10 anni) la proposta cambierebbe le abitudini di vita per 14,2 milioni di passeggeri ogni giorno: ad una media di 1,7 spostamenti procapite significa che gli utenti sarebbero 8,3 milioni. Un buon trasporto richiama utenti: abbiamo utilizzati gli attuali coefficienti di utilizzo, immaginiamo che dal 60% si arrivi al 70%. In questo caso gli utenti dei nuovi servizi sarebbero circa 10 milioni per 16,2 milioni di spostamenti al giorno. Per ciascuno dei 10 milioni di utenti ci sarebbe la possibilità di risparmiare 152€ mensili di carburante più 46€ di spese di manutenzione della propria automobile. Per contro si acquisterebbe un abbonamento per il trasporto pubblico: la media nazionale indica 91€ tra abbonamenti urbani e regionali. Il bilancio sarebbe

91€ – 152€ – 46 = -107€ per ogni utente

Nella famiglia media ISTAT mediamente si avrebbe un risparmio di 149.8€. Per 40 anni almeno, cioè per la vita media della nuova infrastruttura di trasporto pubblico. Ma anche l’Amministrazione avrebbe un guadagno: non economico (aspetto che lasciamo da parte) ma finanziario. Si tratta di una riduzione nella previsione di spesa sanitaria, un capitolo che rientra a pieno titolo tra gli aspetti finanziari perché mobilità e sanità rappresentano l’80% di un bilancio regionale.
Di alcune patologie la ricerca medica ha permesso di individuare e misurare in maniera certa la correlazione causa-effetto tra morbilità e media annuale della concentrazione di particolato sottile e ossidi di azoto.
In Italia le prime 24 aree urbane ospitano l’89% della popolazione nazionale. La misura proposta permetterebbe di portare la quota degli spostamenti su strada dal 79% al 49%. Spostando 14.2 milioni di spostamenti sul trasporto elettrico entro 5 anni si avrebbe una riduzione della spesa sanitaria pari a 20.125€/anno ogni 1.000 abitanti. Parliamo di 1,090,775,000 euro all’anno. In conclusione: se il Governo stanziasse per 5 anni la metà della copertura annuale necessaria alla copertura del bonus degli 80 euro, ovvero 5 miliardi di euro e aiutasse le Amministrazioni a formulare dei progetti di infrastrutture di trasporto pubblico elettrico (per l’80% su ferro) accedendo a forme di cofinanziamento con fondi dell’Unione Europea si potrebbe:

  1. dare a 10 milioni di persone ovvero 7,1 milioni di famiglie la possibilità di risparmiare 150 euro al mese;
  2. realizzare entro 5 anni dall’entrata a regime delle infrastrutture un risparmio netto sulla spesa sanitaria regionale di 1 miliardo di euro anno.

Il tutto non come misura contingente ma permanente. Bonus da 80€? Meglio 150€ con più TPL!

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