– Di Marco Chitti* –
Si tratta di un un esempio atipico in occidente e, per certi versi, innovativo per via delle scelte tecnologiche e delle modalità di finanziamento e per questo solleva, accanto ad un grande entusiasmo, degli interrogativi di tipo tecnico ed urbanistico. Ma, prima di entrare nel dettaglio, è opportuno inquadrare questo progetto con una breve storia del trasporto pubblico su ferro nella regione Montrealese, per meglio capire le ragioni di una scelta.
Montréal, è la più importante città della provincia francofona del Québec e la seconda area urbana del Canada dopo Toronto. L’agglomerazione – che conta poco più di 4 milioni di abitanti su di una superficie di 3.837 kmq – si sviluppa su due grandi isole e sulle due sponde del fiume San Lorenzo. Si tratta di una delle aree urbane relativamente più dense del nord America con un nucleo centrale compatto, che ospita quasi un quarto della popolazione e che, fortunatamente, non è stato profondamente toccato da quel progressivo spopolamento a favore dei sobborghi tipico di molte città nordamericane. Dal punto di vista dei trasporti urbani, Montréal rappresenta un caso particolare nel continente nordamericano, con aspetti che l’accomunano a sistemi sulle due rive dell’Atlantico.
Il metrò
Montréal ha festeggiato quest’anno i 50 anni della sua metro sotterranea. Fortemente voluta dall’allora sindaco Jean Drapeau, la rete si è sviluppata rapidamente in concomitanza con i grandi lavori che hanno cambiato l’aspetto della metropoli tra l’Esposizione Universale del 1967 e i Giochi Olimpici del 1976, con il completamento di tre delle quattro linee attuali. Passata l’euforia dei giochi, il rallentamento nello sviluppo della città, in quegli anni soppiantata da Toronto come principale metropoli del Canada, e la crisi economica degli anni 70’ portano di fatto ad uno arresto nell’espansione della rete. Negli anni 80, riprende lentamente l’espansione con la progettazione e la realizzazione della quarta linea, la blu. Da allora, malgrado molti progetti, studi e proposte, solo un piccolo prolungamento di pochi chilometri verso la prima corona urbana è stato aperto nel 2007. Oggi, la metro di Montréal trasporta quotidianamente 1.200.000 passeggeri su una rete di 71 chilometri, 4 linee e 69 stazioni. Queste cifre ne fanno il sistema più frequentato in termini di passeggeri per chilometro in nord America dopo new York (dati APTA). I fattori alla base di queste performance sono vari, in particolare un tessuto urbano denso e poco adatto all’automobile nell’area centrale ed una rete di autobus complementare efficace e frequente. La scelta della tecnologia métro-sur-pneu ha però fortemente condizionato, e condiziona tuttora, l’espansione della rete: il rigido clima invernale, con temperature che scendono regolarmente al di sotto dei -20°C e con abbondanti nevicate, impedisce la realizzazione di estensioni in superficie che permetterebbero di meglio servire l’ampia corona urbana poco densa con costi di realizzazione più contenuti. Questo “difetto” tecnologico ha di fatto frenato l’espansione della rete nella vasta, poco densa ma molto popolata periferia di Montréal che resta largamente dipendente dall’automobile.
Il ritorno delle ferrovie suburbane e la tirannia della “monarchia ferroviaria”
Per ovviare a questa mancanza di servizio su ferro nell’ampia corona suburbana, l’agenzia metropolitana dei trasporti (AMT) attiva (o meglio, riattiva) a partire dalla fine degli anni ‘90 un certo numero di linee ferroviarie suburbane su tratte esistenti, il cui servizio passeggeri era stato progressivamente sospeso negli anni ’70. Ad oggi la rete conta sei linee per 254 chilometri ed una frequentazione annua di quasi 20 milioni di passeggeri (circa 80.000 per giorno feriale). Si tratta perlopiù di un servizio ferroviario del tipo “commuter rail”, con passaggi irregolari concentrati nelle fasce di punta (verso il centro il mattino e versi i sobborghi la sera e nessun servizio nel fine settimana) effettuato con convogli a due piani a trazione diesel. Una sola linea, che collega il centro di Montréal a Deux-Montagnes, offre un servizio di tipo S-Bahn, con treni frequenti e quasi-cadenzati. Si tratta della sola linea elettrificata della rete (in realtà, la sola di tutto il Canada!), concepita così sin dalla sua apertura nel 1918 perché raggiunge il centro della città attraverso un tunnel di 5 chilometri sotto il Mont Royal.
Nonostante il discreto successo e la volontà politica di migliorare il servizio a fronte di una domanda latente non soddisfatta, la struttura proprietaria della rete impedisce un miglioramento del servizio. Fatta eccezione per la succitata linea Deux-Montagnes, le rotaie su cui circolano questi treni appartengono ai due colossi ferroviari canadesi, la Canadian National e la Canadian Pacific, la cui priorità, sancita dalle leggi federali, è il trasporto merci. Questa situazione è il frutto di quella che viene ironicamente definita la “monarchia ferroviaria” canadese, che, dai tempi della realizzazione della ferrovia transcanadese negli anni ’80 dell’ottocento, accorda un grande potere discrezionale a queste due compagnie rendendo difficile l’imposizione di una volontà politica alternativa nell’uso dell’infrastruttura ferroviaria. È per far fronte a questa situazione particolare che nasce il progetto del RÉM.
Il RÉM: problemi di un unicum tecnico e finanziario.
Torniamo quindi al nostro RÉM. Questo progetto nasce dalla necessità di servire con una rete dedicata su ferro le aree urbane della riva sud del San Lorenzo, l’aeroporto internazionale e i sobborghi dell’ovest dell’isola di Montréal. Si tratta di un sistema completamente autonomo rispetto ai treni suburbani esistenti che riutilizza in parte le infrastrutture della linea suburbana Deux-Montagnes e in parte nuovi tracciati in tunnel, in viadotto o in affianco a corridoi autostradali esistenti. Una volta completato, dovrebbe assicurare oltre 150.000 spostamenti giornalieri con un servizio cadenzato e frequente e interconnesso alla rete del metrò esistente.
Dal punto di vista tecnologico si tratta di un sistema ferroviario a trazione elettrica e a guida automatica, definito anche “metrò leggero” per via di un materiale rotabile più leggero, di sagoma minore ed una lunghezza di banchina notevolmente ridotta rispetto ai servizi suburbani esistenti (80 contro 260 metri). Le alte frequenze di passaggio previste (fino a 3 minuti in ora di punta) dovrebbero compensare la minore capienza dei mezzi. Le scelte di una tecnologia leggera e della guida automatica sono dettate da ragioni tecniche ed economiche. Da un lato, per raggiungere la riva sud il RÉM utilizzerà una via di corsa dedicata sul nuovo ponte Champlain, ora in costruzione in sostituzione di un ponte esistente da demolire per problemi strutturali, che è stata dimensionata per supportare il passaggio di un bus in sede propria o di un treno leggero ma non i pesanti convogli tradizionali. L’automatizzazione, invece, risponde alla necessità di ridurre al massimo i costi di funzionamento pur garantendo un servizio sette giorni su sette per venti ore al giorno, assicurando così l’equilibrio finanziario del progetto. Questa scelta tecnologica, che lo assimila allo skytrain di Vancouver, rende però impossibile un uso misto dell’infrastruttura con gli altri servizi suburbani esistenti ed i treni a lunga percorrenza. Il nodo principale è l’uso esclusivo da parte del RÉM del tunnel sotto il Mont Royal. Questa scelta obbligherà ad attestare la linea suburbana per Mascouche recentemente inaugurata su una stazione periferica del RÉM, con una conseguente rottura di carico, e porrà inoltre seri problemi all’instradamento del treno interurbano ad alta frequenza di ViaRail all’interno del nodo Montrealese. Su questo secondo progetto e sui problemi di incompatibilità con il futuro RÉM ritornerò nella parte finale dell’articolo.
Il secondo aspetto, allo stesso tempo innovativo e problematico, è l’architettura finanziaria ed esecutiva del progetto. Il RÉM è promosso e realizzato dalla Caisse des Dépôts et des Placements du Québec (CDPQ), una sorta di cassa Depositi e Prestiti della provincia del Québec. Si tratta di un’istituzione para-pubblica che dipende dal governo provinciale per conto del quale gestisce il risparmio pensionistico, ma che opera con l’ottica di redditività di un fondo d’investimento privato. La sua divisione infrastrutture (CDPQinfra) finanzierà la costruzione dell’opera per 3,1 miliardi di $ su un costo totale stimato in 5,9 miliardi di $ (4,2 miliardi di euro), mentre i restanti 2,8 miliardi proverranno dai governi provinciale e federale e dalle municipalità attraversate. La CDPQ conta recuperare il denaro investito con un misto di entrate tariffarie, contributi pubblici per il trasporto e, soprattutto, la captazione, attraverso vari meccanismi, del plusvalore fondiario originato da questa nuova opera sulle nuove costruzioni in un raggio di 1 chilometro dalle nuove stazioni del RÉM. Si tratta di un montaggio finanziario complesso, che ha suscitato non poche critiche, particolarmente per quanto riguarda le modalità di questo meccanismo di captazione per certi versi innovativo anche se non unico. In particolare, l’efficacia di questo strumento è legata all’effettivo sviluppo delle zone TOD (Transit Oriented Development) previste nelle aree limitrofe alle nuove stazioni del RÉM, sviluppo che dipende da investimenti privati legati agli andamenti di un mercato immobiliare che, seppur scampato alla crisi del 2008, mostra oggi in Canada i segni di una certa “stanchezza”. Altro problema è l’architettura istituzionale di questo meccanismo visto che il potere di rivalutare i valori immobiliari e raccogliere la relativa (assai elevata!) tassa sugli immobili spetta alle municipalità e non tutte si sono mostrate ben disposte a condividere il “gruzzolo” con la Caisse des Dépôts.
Da Montréal a Toronto: il treno ad alta frequenza di ViaRail e il conflitto con il RÉM
Come già accennato prima, il progetto di RÉM cosi come concepito rischia di porre seri problemi ad un altro interessante progetto che punta a dare una svolta al trasporto ferroviario, ovvero il treno ad alta frequenza di ViaRail (Train à Grande Fréquence/High-Frequency Train). Il trasporto ferroviario passeggeri interurbano è molto poco sviluppato in Canada. Negli anni ’70 i servizi passeggeri su lunga distanza delle due grandi compagnie ferroviarie, Canadian Pacific e Canadian National, in perdita vertiginosa di passeggeri, vengono nazionalizzati per assicurarne la sopravvivenza con la creazione di ViaRail, così come accade nella stessa epoca negli Stati Uniti con Amtrak. Per decenni questa compagnia pubblica ha garantito, grazie a pesanti sussidi, la sopravvivenza di un embrionale servizio passeggeri di lunga percorrenza tra le principali città del paese. In anni recenti, congestione e saturazione della rete stradale e preoccupazioni ambientali hanno spinto ViaRail a rafforzare il trasporto passeggeri sull’asse più popolato del paese che va dalla città di Québec a Windsor passando per Montréal, Ottawa e Toronto e su cui gravitano circa 18 milioni di abitanti, ovvero più della metà della popolazione del paese. Il principale ostacolo ad un ulteriore sviluppo è rappresentato dalla scarsa disponibilità di tracce su di un’infrastruttura ferroviaria posseduta in gran parte dai due grandi colossi ferroviari e concepita esclusivamente per lo spostamento di lunghi, pesanti e, soprattutto, lenti convogli merci. Per ovviare a questa situazione, un progetto di fattibilità per una linea ad alta velocità era stato condotto sul finire degli anni novanta ma i costi erano stati ritenuti eccessivi a fronte dei benefici. È così che si è sviluppata l’idea di un treno ad alta frequenza come soluzione intermedia tra l’alta velocità e lo status quo. Si tratta di un piano da 5,25 miliardi di $ per lo sviluppo di un servizio cadenzato su questo trafficato corridoio che permetterà di triplicare la frequenza dei treni tra Toronto, Ottawa e Montréal portandola da 11 a 40 coppie al giorno, di ridurre i tempi di percorrenza di un terzo portandoli sotto le quattro ore e di garantire una maggiore affidabilità del servizio. I punti centrali del piano sono la realizzazione di binari dedicati per evitare il conflitto con il traffico merci e una parziale elettrificazione della rete con l’uso di motrici ibride. Particolarmente interessante è la scelta di puntare sulla frequenza piuttosto che sulla velocità come fattore di attrattività commerciale e su un servizio più capillare di realtà urbane di media grandezza situate lungo il percorso per portare la frequentazione da 2,6 a 7,2 milioni di passeggeri annui. Un argomento a favore dell’importante investimento è la ricerca di un equilibrio economico a lungo termine. Ad oggi, via Rail riceve 220 milioni di dollari l’anno in sussidi per garantire il suo servizio. Nelle intenzioni dei promotori, l’aumento di traffico e di produttività conseguenti alla realizzazione del piano dovrebbero permettere di azzerare questi sussidi e rendere il servizio redditizio nonché finanziare gli altri servizi di ViaRail in perdita.
Il progetto del RÉM pone però una seria ipoteca sullo sviluppo del treno ad alta frequenza. Nelle intenzioni di Via Rail i treni a lunga distanza dovrebbero utilizzare il tunnel del Mont-Royal per attraversare il nodo di Montréal e proseguire verso la città di Québec. Purtroppo, le scelte tecnologiche per il RÉM, guida automatica e treni di sagoma minore, impediscono di fatto l’uso promiscuo di questa fondamentale infrastruttura. Una proposta alternativa, che instraderebbe i treni a lunga distanza su una stazione periferica piuttosto che nella stazione centrale, è giudicata poco attraente perché non permetterebbe di raggiungere direttamente il cuore della città e comprometterebbe la connettività con la rete del metrò. La situazione è ad oggi in divenire e una scelta definitiva non è ancora stata presa ma l’entusiasmo generale attorno al progetto di RÉM ha di fatto messo a tacere le legittime preoccupazioni di molti su scelte tecnologiche innovative sì, ma poco flessibili ed esclusive.
Un primo giudizio su quest’opera, a pochi mesi dal probabile inizio dei lavori nella primavera del 2017, non può essere che a luci ed ombre. Dopo anni di discussioni e progetti abortiti, il RÉM rappresenta per Montréal un notevole salto in vanti, raddoppiando di fatto il sistema su ferro metropolitano, connettendo un’ampia area dei sobborghi ad oggi non servita dal trasporto su ferro e strutturando di fatto la crescita urbana dei prossimi trent’anni. D’altro canto, l’estemporaneità della proposta, “uscita dal cappello” dalla Caisse des Dêpots solo nel maggio di quest’anno e entusiasticamente sposato dalla classe politica locale, solleva dubbi sulla capacità dei soggetti pubblici di elaborare e perseguire una strategia di lungo periodo in tema di mobilità pubblica. Molti altri dubbi aleggiano su questo progetto: il pericolo di incentivare invece di contenere la dispersione urbana se non accompagnato da efficaci strumenti di governo del territorio, il rischio di drenare una grande quantità di risorse pubbliche a discapito di altri progetti da anni sul tavolo, scelte tecnologiche in aperto contrasto con investimenti da poco effettuati sulla rete esistente, prevalenza di un’ottica di redditività finanziaria su quella di servizio pubblico. A titolo d’esempio, in una prima fase le stazioni di interconnessione con due linee della metro non sono state previste perché, essendo ingegneristicamente complesse e costose, rischiavano di compromettere il quadro finanziario dell’intervento (gli amici milanesi si consolino, in termini di mancate interconnessioni non sono soli). Fortunatamente la pressione politica e la promessa di maggiori contributi pubblici ha fatto includere la realizzazione di questi importanti nodi nel progetto iniziale.
Per concludere, uno sguardo d’insieme su questa vicenda ci permette di capire come, da un certo punto di vista, tutto il mondo è paese: la mancanza di programmazione di lungo termine, la difficoltà di far progredire di pari passo scelte urbanistiche e trasportistiche, la rincorsa di soluzioni tecnologiche innovative a tutti i costi e la cessione ad attori privati del ruolo guida del pubblico non sono, in fin dei conti, un’esclusiva del belpaese. Questo non vuol dire accontentarsi dello status quo quanto piuttosto coltivare uno spirito critico, essere capaci di cogliere aspetti positivi e criticità, valutare le conseguenze di scelte collettive importanti in termini di trasporti ed urbanistica, far dialogare le competenze professionali (ingegneri, urbanisti, architetti, etc.) tra di loro e con gli attori civici e istituzionali in un processo trasparente e costruttivo. E, soprattutto, abbandonare l’autosufficienza, buttare un occhio oltre l’orizzonte delle Alpi, vedere cosa fanno gli altri, copiarli quando fanno bene o apprendere dai loro errori quando fanno male.
Tanti video istituzionali del progetto RÉR sul canale youtube di CDPQinfra
* Faculté de l’Aménagement, Université de Montréal (Canada)