Ha iniziato a circolare la bozza del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sottoposta all’esame delle Camere sabato 24 aprile. Prima di tutto parliamo del Next Generation UE, il Piano per la ripresa dell’Europa dalla crisi pandemica (e dalla crisi economica soggiacente) per un investimento complessivo di 1.800 miliardi di euro. Un Piano atteso da tutti, dopo il sospiro di sollievo arrivato dalla Corte Costituzionale tedesca che ne ha decretato la piena ammissibilità.
L’obiettivo portante del Governo italiano è quello di “rendere il sistema italiano sostenibile nel lungo termine garantendone la competitività”, assicurando allo stesso tempo anche “una transizione inclusiva ed equa, massimizzando i livelli occupazionali e contribuendo alla riduzione del divario tra le Regioni”. Sul fronte della mobilità, in particolare, si vuole realizzare “un sistema infrastrutturale moderno, sostenibile e digitale”.
Nel PNRR, il Governo ribadisce che è una priorità il perseguimento di una “transizione ecologica verso la completa neutralità climatica e lo sviluppo ambientale sostenibile per mitigare le minacce a sistemi naturali e umani: senza un abbattimento sostanziale delle emissioni clima-alteranti, il riscaldamento globale raggiungerà e supererà i 3-4 °C prima della fine del secolo, causando irreversibili e catastrofici cambiamenti del nostro ecosistema e rilevanti impatti socio-economici”.
Siccome non c’è mobilità senza energia partiamo da come si pensa di far alimentare i trasporti.
Le azioni sono:
1. Incrementare la quota di energia prodotta da fonti di energia rinnovabile (FER) nel sistema
2. Potenziare e digitalizzare le infrastrutture di rete
3. Promuovere la produzione, la distribuzione e gli usi finali dell’idrogeno
5. Sviluppare una leadership internazionale industriale e di ricerca e sviluppo nelle principali filiere della transizione (rinnovabili e batterie, idrogeno)
Il ruolo delle innovabili
Il Governo punta 6,74 milioni sullo sviluppo delle energie rinnovabili. “L’attuale target italiano per il 2030 è pari al 30% dei consumi finali, rispetto al 20% stimato preliminarmente per il 2020”. Per raggiungere questo obiettivo l’Italia, attraverso il PNRR, punta a sbloccare “il potenziale di impianti utility-scale, in molti casi già competitivi in termini di costo rispetto alle fonti fossili ma che richiedono in primis riforme dei meccanismi autorizzativi e delle regole di mercato per raggiungere il pieno potenziale, e valorizzando lo sviluppo di opportunità agro-voltaiche” (parleremo più avanti questo punto).
Il Governo punta, inoltre, allo “sviluppo di comunità energetiche e sistemi distribuiti di piccola taglia, particolarmente rilevanti in un Paese che sconta molte limitazioni nella disponibilità e utilizzo di grandi terreni ai fini energetici”. Per fare questo il Governo si impegna a “sostenere la realizzazione di sistemi di generazione di energia rinnovabile off-shore, che combinino tecnologie ad alto potenziale di sviluppo con tecnologie più sperimentali (come i sistemi che sfruttano il moto ondoso), in assetti innovativi e integrati da sistemi di accumulo. L’intervento mira quindi a realizzare nei prossimi anni impianti con una capacità totale installata di 200 MW da FER. La realizzazione di questi interventi, per gli assetti ipotizzati in funzione delle diverse tecnologie impiegate, consentirebbe di produrre circa 490 GWh anno che contribuirebbero ad una riduzione di emissioni di gas climalteranti stimata intorno alle 286.000 tonnellate di CO2”.
L’idrogeno
“Nel luglio 2020 la Strategia europea sull’idrogeno26 ha previsto una forte crescita dell’idrogeno verde nel mix energetico, per far fronte alle esigenze di progressiva decarbonizzazione di settori con assenza di soluzioni alternative (o con soluzioni meno competitive)”. Il Piano prevede “la creazione di stazioni di rifornimento a base di idrogeno. I distributori saranno adatti per camion e auto, funzionanti anche a pressioni di oltre i 700 bar”.
Il PNRR fa sue le proposte del Ministro Cingolani: estrarre più metano, usarlo per produrre idrogeno per il riscaldamento, la mobilità e l’industria pesante, in attesa dell’elettricità da fusione o fissione nucleare. E qui la criticità n.1: la fusione non sembra prossima all’orizzonte, quindi bisogna trovare un modo (realmente) conveniente di rompere le molecole dell’acqua (ne abbiamo abbastanza di acqua dolce? oppure vogliamo puntare alla desalinizzazione già energivora e inquinante di suo?) e trasformare la filiera dei trasporti e quella industriale più energivora (cemento, acciaio in primis) per alimentarle con ossigeno liquido a -183 °C o compresso a pressioni altissime (altrimenti è un esplosivo). Un bel po’ di energia grigia da mettere sulla bilancia.
Metano e biometano
Per il Governo il biometano può contribuire al raggiungimento dei target al 2030. Su questo fronte, il Piano punta a “i) riconvertire e migliorare l’efficienza degli impianti biogas agricoli esistenti verso la produzione totale o parziale di biometano da utilizzare sia nel settore del riscaldamento e raffrescamento industriale e residenziale sia nei settori terziario e dei trasporti; ii) supportare la realizzazione di nuovi impianti per la produzione di biometano (attraverso un contributo del 40% dell’investimento), sempre con le stesse destinazioni; iii) promuovere la diffusione di pratiche ecologiche nella fase di produzione del biogas (siti di lavorazione minima del suolo, sistemi innovativi a basse emissioni per la distribuzione del digestato) per ridurre l’uso di fertilizzanti sintetici e aumentare l’approvvigionamento di materia organica nei suoli, e creare poli consortili per il trattamento centralizzato di digestati ed effluenti con produzione di fertilizzanti di origine organica; iv) promuovere la sostituzione di veicoli meccanici obsoleti e a bassa efficienza con veicoli alimentati a metano/biometano; v) migliorare l’efficienza in termini di utilizzo di calore e riduzione delle emissioni di impianti agricoli di piccola scala esistenti per i quali non è possibile accedere alle misure di riconversione.”
Criticità n. 2: il metano può essere considerato una tecnologia di transizione?
Il metano è un gas serra trenta volte più potente dell’anidride carbonica, nell’arco di vent’anni scalda ottanta volte di più. Certo la concentrazione atmosferica è un ordine di grandezza più piccolo di quello dell’anidride carbonica, ma ne produciamo a iosa già dalla sua estrazione, quando “conviene” lasciarlo scappare via che bloccarlo. Senza dimenticare la questione della combustione del metano ovvero il rilascio degli ossidi di azoto.
La questione del biometano, poi, è ancora più controversa. Diamo un nome alle cose: per l’Italia il biometano è la fermentazione dei reflui d’allevamento sempre meno accettati nel riuso massivo per la concimazione anche per il ruolo del particolato in chiave epidemiologica. I reflui sono i prodotti di scarto di un allevamento o, meglio, sono il risultato della miscela di svariati materiali: deiezioni zootecniche (feci, urine), acque di lavaggio, lettiera, peli, residui alimentari. Le deiezioni, e ancor più i reflui zootecnici, presentano pertanto una composizione estremamente variabile, non solo in funzione della specie animale che li origina (bovina, suina, avicola), ma anche in funzione delle modalità di allevamento e di gestione del refluo nel suo complesso. Le deiezioni zootecniche, da un punto di vista fisico/gestionale, possono trovarsi sia in forma palabile (letami) che pompabile (liquami) in funzione del contenuto di sostanza secca.
Il biogas è una miscela gassosa, composta per il 50-80% da metano e per il resto da anidride carbonica, vapore acqueo, idrogeno e composti solforati. Normalmente – prevalentemente per questioni di convenienza economica – il biogas non viene sottoposto ad una fase di purificazione e di recupero del metano ma viene avviato alla combustione in cogeneratori, per l’ottenimento di energia elettrica e calore, generalmente dopo essere stato sottoposto a trattamenti di filtrazione, deumidificazione e desolforazione. Quindi il biogas ottenuto dal processo di digestione anaerobica dei reflui zootecnici, sebbene caratterizzato da un potere calorifico minore rispetto al metano puro, può essere destinato a numerosi utilizzi: riscaldamento, trazione meccanica ed energia elettrica. La formazione di biogas è un fenomeno che si può instaurare anche in condizioni non controllate, purché vi sia assenza di ossigeno; questo avviene ad esempio nelle discariche in cui viene depositato materiale organico. La dispersione di biogas in atmosfera contribuisce all’effetto serra, poiché il metano in esso contenuto incide in maggior misura su tale fenomeno rispetto alla CO2 che si produrrebbe con la sua combustione: un aspetto che costituisce un ulteriore motivo per evitare l’emissione del combustibile nell’ambiente.
Il potenziale energetico dei combustibili gassosi fossili e dei biogas di fermentazione è il seguente:
Le emissioni equivalenti di CO2 dei liquami non provengono però – come i fossili, estratti da pozzi naturalmente sigillati almeno da centinaia di migliaia di anni – da sorgenti di carbonio esterne all’atmosfera. In parte contengono il carbonio sottratto dall’atmosfera stessa dalla crescita delle specie vegetali utilizzate poi per l’alimentazione del bestiame. Si tratta però di una quota: il processamento di questi vegetali, gli integratori alimentari, i farmaci e il lavoro accessorio che il bestiame necessita costituiscono una domanda energetica suppletiva che si trasforma in emissioni climalteranti estranee al ciclo ordinario del carbonio (e, soprattutto, dell’azoto). La quota di CO2 propria del ciclo ordinario del carbonio (quindi a impatto zero) è riassunta nella tabella seguente:
Nel confronto tra emissioni climalteranti delle diverse forme di gas fossile e quota emissiva esterna al ciclo naturale nella produzione del biogas si evince la situazione riportata nelle tabelle seguenti:
Considerando il potere calorifico e quindi il rendimento finale alla ruota, rispetto al GPL, il biogas da deiezioni bovine presenta un bilancio negativo. Le deiezioni suine, purché in un ciclo a ridotto impiego di additivi alimentari, possono risultare meno impattati del GPL naturale. I liquami ovicoli e, soprattutto, avicoli hanno un impatto complessivo nettamente inferiore a quello dell’utilizzo del GPL. Ritendendo lo stesso confronto con il CNG, che ha un impatto climalterante inferiore del 62% rispetto al GPL, l’unico biogas che mantiene un impatto inferiore è quello da fermentazione delle deiezioni avicole (pollina).
Certo è opportuno rimarcare che le considerazioni e i confronti pocanzi esposti devono essere inquadrati in una logica complessiva di riduzione dell’impatto ambientale prodotto dagli allevamenti intensivi. Come nell’impiego diffuso della cogenerazione per il recupero di parte del calore disperso dai fumi nelle caldaie domestiche o dell’utilizzo dei rifiuti solidi urbani per la produzione energetica (nel processo di “termovalorizzazione”) l’estrazione e l’uso del biogas in sostituzione parziale o totale del gas fossile per la trazione stradale rientra negli obiettivi di mitigazione delle emissioni climalteranti dei processi di riscaldamento domestico, trattamento dei rifiuti urbani oppure industria della carne e industria casearia. Questi processi, per quanto virtuosi, non dovrebbero diventare essi stessi obiettivo produttivo primario in quanto finirebbero con l’ostacolare azioni di riduzione quantitativa e/o trasformazione della filiera stessa. Ad esempio, se non supportato da una visione trasversale, lo sviluppo di una filiera produttiva del biogas da reflui d’allevamento potrebbe finire con il confliggere con gli obiettivi di riduzione consapevole del consumo di carne e di trasformazione della filiera stessa (secondo un principio di qualità del prodotto versus quantità).
Batterie
“I forti investimenti nel settore delle mobilità elettrica pongono il problema dello sviluppo di una filiera europea delle batterie alla quale dovrebbe partecipare anche l’Italia insieme ad altri Paesi come Francia e Germania, onde evitare una eccessiva dipendenza futura dai produttori stranieri che impatterebbe in maniera negativa sull’elettrificazione progressiva del parco circolante sia pubblico che privato“. Il Governo giustamente intende “potenziare le filiere in Italia nei settori fotovoltaico, eolico, batterie per il settore dei trasporti e per il settore elettrico con sviluppo di: i) nuovi posti di lavoro, ii) investimenti in infrastrutture industriali high-tech e automazione, R&D, brevetti e innovazione; iii) capitale umano, con nuove capacità e competenze.”
Mobilità sostenibile
Le misure per sviluppare un trasporto locale più sostenibile sono 4:
Investimento 4.1: Rafforzamento mobilità “soft” (es., ciclovie)
Investimento 4.2: Sviluppo trasporto pubblico di massa
Investimento 4.3: Sviluppo infrastruttura di ricarica elettrica
Investimento 4.4: Rinnovo flotte bus, treni, navi verdi
Qui è pesato tantissimo il vincolo della fruibilità degli obiettivi al 2026. Ridotto sempre più lo spazio per i nuovi progetti di tram, filobus e BRT elettrici; escluse quasi del tutto le metropolitane; la parte del leone la fa la trasformazione dell’esistente: in una parola, anche giustamente le ferrovie.
Nella bozza mancano le schede di dettaglio dei progetti inclusi in quelle cifre, quindi rimandiamo ulteriori analisi alla loro disponibilità. Intanto non resta che sperare nel canale accessorio di 30 miliardi che costituisce il (ri)finanziamento del Trasporto rapido di massa in tranche da 3,75 miliardi per 8 anni.
Come richiesto dal Consiglio Europeo, al Piano devono essere associate delle riforme volte a rendere più efficiente la macchina amministrativa: nel caso, ci si impegna a realizzare procedure più rapide per la valutazione dei progetti nel settore dei sistemi di trasporto pubblico locale con impianti fissi e nel settore del trasporto rapido di massa. L’azione è quella di anticipare al Progetto di Fattibilità Tecnico-Economica tutte le autorizzazioni aprendo all’idea di reintrodurre l’amato-odiato Appalto integrato (l’affidamento congiunto della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori, salvo determinati casi in cui era possibile farvi ricorso, introdotto dalla cd. “Legge Obiettivo” e abrogato dal D.lgs. 50/2016 “Testo unico sugli Appalti“). In questo caso le Amministrazioni potrebbero mettere a gara non il Progetto Definitivo ma il PFTE: si sarebbe potuto osare di più, evitando le duplicazioni e togliendo un livello di progettazione (sulla scorta del Concept Design/Technical Design inglese ad esempio) , trasformando il PFTE in quello che attualmente è il progetto definitivo. D’altro canto, ci sono gli studi di prefattibilità per indagare, come dice il nome, la reale fattibilità di una idea progettuale.
Linkopedia
Il testo del PNRR trasmesso al Parlamento
La scheda della Programmazione complementare
I documenti sul PNRR caricati dal Servizio – studi della Camera dei Deputati