Il ministro italiano Padoan ha annunciato la chiusura dell’accordo per un prestito di 1 miliardo circa dalla Banca Europea degli Investimenti al Gruppo Fs con garanzia del Ministero di Economia e Finanza. L’accordo ha l’obiettivo di sostenere lavori e interventi sulla rete gestita da Rfi, mentre la stessa società ha firmato con la Banca un contratto di progetto in cui si impegna a realizzare i lavori che hanno tutti come obiettivo la messa in sicurezza della rete.
I lavori sono quelli inclusi nel Contratto di Programma Investimenti stipulato tra il Ministero dei Trasporti e Rfi per il periodo 2012-2016. Sarà migliorata la sicurezza in 508 passaggi a livello, costruiti 152 chilometri di barriere antirumore e 165 stazioni diventeranno più accessibili. Il prestito servirà anche a potenziare la sicurezza di 79 gallerie per 326 chilometri, prevenire il rischio idrogeologico, avviare studi sismici lungo 41 linee e migliorare la sicurezza e la tecnologia in 73 stazioni e 46 altri impianti. In ultimo si cita anche il potenziamento tecnologico dei nodi urbani come Milano, Bologna e Firenze.
Le risorse sono state concesse dalla Banca europea per gli investimenti dopo un iter di valutazione iniziato nel 2014 e, ha spiegato il Mef, comporterà vantaggi finanziari per i conti italiani: “Con questa operazione – ha detto il ministro Padoan – la Repubblica Italiana può avvantaggiarsi delle condizioni favorevoli dei prestiti Bei, che grazie alla propria solidità patrimoniale emette obbligazioni sui mercati internazionali alle quali è riconosciuta la tripla A dalle agenzie di rating”.
Quello che non si dice oggi è che il prestito è una sconfitta perché, la richiesta approntata nel 2014, sempre da Padoan, era di 10 miliardi. In occasione della chiusura della Conferenza BEI sugli Investimenti nel Mediterraneo, il 30 ottobre 2014, si parlò di “Progetti per la banda ultralarga, per la messa in sicurezza delle strade, l’efficentamento energetico degli edifici pubblici, per il supporto alle Pmi e progetti di infrastrutture”.
Il prestito di 1 miliardo sarà a breve reso disponibile dal Tesoro ad Rfi: “Queste risorse permettono di accelerare i progetti di quella che è stata definita la cura del ferro – ha detto l’ad di Rfi Maurizio Gentile – che mira a incrementare la capacità di traffico nelle grandi aree metropolitane e nei centri urbani oltre a un trasferimento di una importante quota del trasporto merci dalla strada al ferro”.
Per la “cura del ferro” voluta dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti i fondi stanziati al momento sono, complessivamente, pari a 18 miliardi di euro secondo le leggi di Stabilità 2015 e 2016.
L’attuale prestito è stato concesso perché la Bei ha riconosciuto la straordinarietà dello sforzo che l’Italia dovrà sostenere per adeguarsi alla direttiva 2004/54/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa ai requisiti minimi di sicurezza per le gallerie della rete stradale trans europea. Un atto normativo che impone requisiti molto stringenti in tema di sicurezza non correlata, a nostro avviso, alla probabilità di accadimento e alla magnitudo degli incidenti ferroviari in galleria: resta l’anelito a puntare a frequenze di accadimento inferiori a 1 evento su 10 miliardi di passaggi ovvero a cifre irraggiungibili con qualunque altra modalità di trasporto. Ma tutto questo sforzo ingegneristico ha un costo che l’Italia pagherà molto caro. Perché?
Il perché lo si trova scorrendo le statistiche dell’Unione. L’Italia, con 3.780 gallerie per un’estensione totale di 2.100 km (comprese le seconde canne), resta in assoluto la Nazione più traforata, seconda al mondo alla sola Cina. Eppure non è stata capace, in sede comunitaria, di far valere la sua voce tecnica sulla nuova normativa per la sicurezza nelle gallerie: anche questo è lo spread di cui nessun parla più.