Stamattina lungo via del Tritone a Roma, a due passi da Montecitorio, un autobus dell’Atac si è incendiato con una forte esplosione. Secondo alcuni testimoni, dal veicolo ha cominciato ad alzarsi una fitta coltre di fumo e poco dopo si è verificata l’esplosione. Non appena si è reso conto delle prime fiamme, l’autista ha fatto scendere i passeggeri che erano a bordo e per questo, al momento, non si segnalano conseguenze per i passeggeri né per le persone che si trovavano in strada. Sul posto sono presenti alcune auto della polizia e ambulanze.
Ma Roma non è una eccezione: l’ultimo episodio del genere è accaduto a Genova, in via Stassano.
Il 5 maggio un bus di linea ma fuori servizio è andato a fuoco mentre percorreva la superstrada Firenze-Pisa-Livorno, in prossimità dell’uscita Pisa Aeroporto.
Lunedì 15 gennaio accade in via Druento a Venaria, presso Torino, ad un mezzo della linea VE1.
Il 31 luglio 2017 a Milano, un autobus della linea 66 si incendia presso l’Ospedale Monzino, nel quartiere di Ponte Lambro.
Un problema italiano?
Assolutamente no: proprio ieri un bus di linea ha preso fuoco a West Palm Beach presso Miami (Usa).
Il 31 marzo s’incendia un articolato adibito al servizio navetta dell’aeroporto di Stansted, presso Londra.
Il 7 febbraio 2018 un articolato della linea 393 prende fuoco lungo la busvia Trans-Val-de-Marne, presso Créteil (area urbana di Parigi).
Il 13 aprile 2017 accade in piena Manhattan, New York.
Quali le cause?
Una esaustiva ricerca Asstra del 2010 ha individuato due cause:
- il progressivo invecchiamento della flotta
- l’aumento dell’incidenza percentuale di autobus omologati secondo norme Europee antinquinamento via via più stringenti.
Infatti i sempre più stringenti limiti all’omologazione in termini di emissioni inquinanti da un lato e l’aumento delle dotazioni di bordo e delle funzioni dall’altro lato, stanno portando i Costruttori a sviluppare tecnologie innovative che comportano tuttavia: un sensibile aumento dei componenti montati sul veicolo, come nel caso di catalizzatori per l’abbattimento di NOx e di particolato; un minore spazio utile nei vani tecnici per pulizia e manutenzione; un incremento delle temperature, soprattutto nel vano motore o comunque nella zona posteriore dell’autobus; una maggiore complessità e numerosità di apparati (es. conta passeggeri, sistemi evoluti di sicurezza, AVM, videosorveglianza, monitor interni per l’info mobilità, sistemi di telecomunicazioni per la manutenzione, climatizzazione, ecc.) in prossimità del posto guida; dotazione di ulteriori optional a discrezione dell’Azienda con il rischio di sovraccarico degli impianti.
Aggiornando i dati di Asstra al periodo 2012-2016 troviamo conferma delle osservazioni del rapporto: il fattore preponderante è la manutenzione. A fronte di un programma di 150 ore l’anno per un mezzo di 3 anni di servizio (una media di 3 ore a settimana tra ordinaria e straordinaria) un dimezzamento aumenta la probabilità di incendio del 50% mentre azzerare del tutto la manutenzione programmata aumenta la probabilità di incendio di circa 7 volte.
Le vetture Euro 5 ed Euro 6 confermano poi l’attenzione alla complessità: maggiori prestazioni ambientali coincidono con una maggiore complessità dei sistemi ovvero con un maggiore rischio a parità di ore di manutenzione. Rischio che aumento con l’età della vettura, perché se risparmiare sulla manutenzione con una vettura di età inferiore ai 5 anni non è la stessa cosa che per una vettura di età di servizio superiore ai 5 anni.
Nel grafico in alto, le barre blu rappresentano la probabilità riferita allo studio Asstra del 2010, quelle celesti l’aggiornamento ai dati più recenti verificatisi nel periodo 2012-2016.
Tornando alle cause degli incendi queste sono facilmente identificabili nei materiali combustibili installati e nelle potenziali sorgenti di ignizione. Per i materiali combustibili e infiammabili presenti, questi sono di natura solida e liquida, a causa di una perdita o qualche altra azione e a contatto con una superficie calda, possono determinare un incendio. Nella maggioranza dei casi analizzati l’incendio è innescato da residui di olio (in particolare perdite di olio idraulico di trasmissione) e altre sostanze grasse che creano croste di materiale facilmente infiammabile. Un controllo accurato e una pulizia generale del motore e degli organi di trazione (ogni 2 anni) basterebbe a ridurre del 70% il rischio di innesco di incendi.
Oltre alle superfici naturalmente calde del motore, sempre presenti durante il suo funzionamento, il surriscaldamento di superfici metalliche può essere causato da attriti anomali originati dal bloccaggio di organi rotanti quali cuscinetti, pulegge, ventole, e/o per un carente raffreddamento del vano motore. Il calore prodotto dalla combustione nel motore, e portato fuori dal motore dal sistema di gas di scarico e dal corpo motore, fa sì che i tubi di scarico abbiano temperature fino a 600 °C, il corpo motore sia in genere a circa 95 °C, mentre la temperatura dell’aria in un vano motore è normalmente attorno ai 70-90 °C, temperatura superiore al punto di infiammabilità del diesel. Questo significa che il liquido è facilmente infiammabile e inoltre, se un motore è ad alti regimi, ad alta temperatura esterna e il vano motore è poco ventilato, la temperatura dell’aria può aumentare a livelli ancora più elevata e innescare l’incendio.
Oltre alle caratteristiche di reazione al fuoco dei materiali e delle sostanze coinvolte un ingrediente fondamentale per lo sviluppo di un incendio è la ventilazione dell’ambiente, fattore determinante per allungare il tempo di accadimento del cosiddetto flash-over (incendio generalizzato). La presenza di spazi angusti e inaccessibili nel vano motore, che impediscono l’accesso sia fisico che visivo, costituisce una potenziale fonte di incendio e, in aggiunta ad una scarsa ventilazione, conduce spesso ad alte temperature, che a loro volta anticipano la propagazione indifferenziata delle fiamme.
Discorso a parte meritano l’impianto elettrico e le batterie. Le scintille sono una delle più comuni cause di origine dell’incendio e possono essere sia di natura elettrica che di natura meccanica. Archi elettrici per correnti vaganti costituiscono la causa principale di innesco nei filobus (che però hanno un rischio specifico di un terzo rispetto a quello degli autobus a trazione endotermica) e negli elettrobus. In questi ultimi il rischio specifico è più alto di quello dei filobus e la causa è da ricercarsi nei pacchi batterie. Finora in Italia l’attenzione, anziché rivolgersi in modo complessivo all’intero problema del rischio incendio connesso ai mezzi elettrici, si è concentrata soltanto su due aspetti: il problema dell’intervento dei Vigili del fuoco sugli incendi di auto elettriche ed il problema della ricarica delle batterie.
Le batterie agli ioni di litio non funzionano come le tradizionali batterie al piombo e sono ermeticamente sigillate, quindi le prescrizioni di prevenzione incendi adottate per le batterie al piombo (che, prima della diffusione del tipo “stagno”, in fase di ricarica generavano idrogeno e ossigeno gassosi) semplicemente non hanno senso. Esperienze internazionali hanno mostrato che il problema principale in termini di rischio incendi per i veicoli elettrici risiede nel cosiddetto “thermal runaway”, cioè nel fatto che le batterie agli ioni di litio possono, in circostanze del tutto eccezionali, presentare un subitaneo ed inarrestabile incremento della temperatura, in una sorta di reazione a catena che porta alla rottura dell’equilibrio termico del sistema ed alla distruzione completa delle batterie e della vettura. Il flusso di ioni di litio da anodo a catodo (batteria in uso) oppure da catodo ad anodo (batteria in ricarica) può surriscaldare la batteria fino a far reagire l’elettrolita con altri elementi chimici presenti, aumentando ulteriormente la temperatura fino a produrre gas che aumentano la pressione interna producendo ulteriore calore. In condizioni normali questo aumento della temperatura è tenuto sotto controllo, ma in condizioni estreme o in presenza di gravi difetti di fabbricazione può crearsi un effetto a catena che può portare all’incendio della batteria ed alla produzione di fumo fuoriuscente dal pacco batterie. Dagli studi effettuati il problema principale risiederebbe in difetti di fabbricazione del separatore fra anodo e catodo, che deve evitare il verificarsi di cortocircuiti.
Tesla precisa che il runaway potrebbe avvenire se le batterie sono conservate a più di 80°C per più di 24 ore, o a più di 150 °C per alcuni minuti, o se le batterie sono esposte a fiamma diretta. Non proprio condizioni comuni.
Il vero problema è che, nella forsennata ricerca di batterie sempre più capienti e/o più piccole, si è cercato nel tempo di ridurre al minimo le dimensioni dei separatori: era questo il problema con i Samsung Galaxy Note 7, dotato di batterie Li-ion che prendevano inspiegabilmente fuoco). Samsung parlò di un difetto di fabbricazione presente soltanto su circa 25 pezzi ogni milione relativo proprio il separatore fra catodo ed anodo.
Altre batterie, come quelle al nichel-metallo idruro NIMH non presentano il medesimo pericolo di thermal runaway delle batterie agli ioni di litio, che però sono ormai molto più diffuse, mentre le batterie ai polimeri di litio in caso di thermal runaway presenterebbero conseguenze di minore intensità, poichè l’elettrolita non è liquido bensì solido. Insomma, il thermal runaway è un problema che esiste ma che non riguarda in uguale maniera tutti i mezzi elettrici.
Tornando al rischio incendi degli autobus, molte imprese di trasporto si stanno muovendo di concerto con il Corpo dei Vigili del fuoco per l’installazione di sistemi di rilevazione e rivelazione d’avanguardia: è il caso di Tper, che ha messo a punto sistemi propri e innovativi per favorire ulteriori livelli di sicurezza in caso di principi d’incendio sui propri bus.
Riferimenti statistici
“La prevenzione incendi nel trasporto pubblico su gomma” (2010), Asstra
Statistiche Interventi Comando nazionale Vigili del Fuoco dal 2012 al 2016
Statistiche Istat sulla mobilità urbana